Capolavori nascosti Greta Garbo, Sadat e l’Inferno con Dustin Hoffman

Visita al Museo fiorentino dedicato al grande regista. L’Archivio è lo scrigno del tesoro

Capolavori nascosti Greta Garbo, Sadat e l’Inferno con Dustin Hoffman

Terminato il giro del Museo Zeffirelli di Firenze, insieme con Pippo Zeffirelli, presidente della Fondazione Zeffirelli e figlio adottivo del regista, si hanno alcune impressioni forti, comuni forse a tutti i visitatori. Profondità e ampiezza della produzione di Zeffirelli lasciano sbalorditi.
Non solo per il numero di progetti (opere liriche, film, teatro di prosa, documentari) ma anche e soprattutto per la capacità del Maestro di essere, al contempo, un grande artigiano e un grande artista. Racconta Pippo Zeffirelli al Giornale: «Franco seguiva ogni titolo dall’inizio alla fine. Guardi... Questi sono bozzetti di scena. Queste sono le foto di scena: uguali ai disegni. Franco disegnava anche gli abiti dei personaggi. Guardi ancora sul margine del foglio: sono pezzi di stoffa scelti dal Maestro e attaccati con le graffette per far capire al costumista cosa desiderava». Ma in questo modo, per ogni lavoro ci saranno voluti mesi...
«Ci voleva tempo. Una preparazione meticolosa aveva un grande vantaggio: al momento di venire al sodo, Zeffirelli aveva già risolto ogni problema. Osservi: nei disegni ci sono i punti luce, i colori, le posizioni, tutto. A proposito, oltre ai disegni ci sono anche le model box». E qui il visitatore resta a bocca aperta davanti a modellini tridimensionali del palcoscenico munito di sceneggiatura e attori. Zeffirelli definisce al dettaglio la scenografia.
Questo è il contenuto di un paio di scatole dell’Archivio e poco altro. Ancora non siamo entrati davvero nel Museo, che ha sede nel complesso di San Filippo Neri.
La Biblioteca custodisce i diecimila volumi appartenuti al Maestro. Nell’enorme Archivio, ci sono copioni, sceneggiature annotate, bozzetti, appunti, schizzi, lettere, rassegne stampa. Nella sezione Prime idee vediamo Zeffirelli giovane che inizia a sviluppare le sue visioni. Tra le foto di scena, quelle del Gesù di Nazareth mozzano il fiato. Non sono posate ma scattate nel mezzo della recitazione.
Siamo di fronte a un artista a tutto tondo. Ad esempio, le tavole preparatorie di Cavalleria rusticana o Traviata sono capolavori. Puoi metterle in cornice ed esporle in una mostra d’arte contemporanea.
Chiediamo a Pippo Zeffirelli se oggi, secondo lui, c’è qualcuno di cui si possa dire lo stesso. «Qualcuno c’è. Ma non tra quelli più amati dal pubblico». «E quindi che facciamo?». «Le posso dare una notizia. La Fondazione ha istituito il Premio Zeffirelli.
Ogni anno offriremo un riconoscimento ai grandi, quelli veri, dello spettacolo». La bellissima statua dorata è tratta da un disegno di Zeffirelli per la Traviata.
Pippo è stato anche il produttore di Zeffirelli. Chiedo: «Scusi, solo del Maestro?».
Pippo: «No, ho fatto anche qualche altro film». Tipo?
«Camera con vista e Cotton Club, ad esempio». Arrossisco: «Ah, ok». Giusto un paio di capolavori.
Nel frattempo abbiamo cominciato la visita al Museo vero e proprio. Davanti alla galleria degli attori, cantanti e registi con i quali Zeffirelli ha lavorato, è tutto un «oooh» di sorpresa. Lo spettatore medio sa bene che Zeffirelli aveva una caratura internazionale ma viene lo stesso il capogiro. Elizabeth Taylor, Richard Burton, Judy Dench, Jeremy Irons, Mel Gibson, Jon Voight e ci fermiamo qua ma potremmo andare avanti. Nel teatro italiano ci sono tutti quelli che contano: Enrico Maria Salerno, Paolo Stoppa, Renato Rascel, Giorgio Albertazzi, Monica Vitti, Anna Magnani, Valentina Cortese, Rossella Falck. Poi i cantanti (Maria Callas, Placido Domingo), i direttori d’orchestra (Herbert von Karajan, Leonard Bernstein), i maestri (Luchino Visconti). «Scusi ma quello è Tom Cruise giovanissimo» dico a Pippo Zeffirelli.
«Esordì in un film del Maestro. Aveva una piccola parte. Era bello ma incapace.
Zeffirelli lo prese sottobraccio: “Non ti offendere, ma chi ti ha consigliato di fare l’attore?”. Cruise rimase di sasso. Per due anni scomparve e si mise a studiare. Al ritorno divenne la star che conosciamo».
Continuiamo il giro con il nostro ospite che dice cose incredibili come fossero normali. «Quello è il vestito papale di Alec Guinness in Fratello sole, sorella luna. Alec fu la seconda scelta». «La seconda scelta? ». «Sì. Zeffirelli era incantato dal volto di Greta Garbo. Con gli anni si era affilato e aveva preso qualcosa di androgino. A Franco sembrava perfetta per il ruolo di Innocenzo III.
Ne parlarono. Poi la Garbo decise di non interrompere il suo auto-esilio».
Un capitolo molto ampio riguarda i lavori mai arrivati in porto. Zeffirelli aveva progettato nei minimi particolari un’edizione colossale dell’Aida di Giuseppe Verdi.
Il committente era il governo egiziano, all’epoca di Sadat, primissimi anni Ottanta. Palco e scenografia: le tre piramidi della piana di Giza messe a disposizione da Sadat. A Zeffirelli servivano circa un migliaio di comparse.
Sadat: «E che problema c’è?
Chiediamo all’esercito di mandare un paio di reparti».
La direzione musicale fu affidata a Leonard Bernstein. In esposizione c’è un disegno al solito minuzioso, che lascia capire le dimensioni dell’impresa. In Archivio si trovano la scrittura originale con annotazioni del regista e di Bernstein, il progetto dattiloscritto, elenchi dei set, piani di lavorazione, preventivi, accordi preliminari, lettere, schizzi e bozzetti tutti firmati da Zeffirelli, storyboard già completi di didascalie, fotografie delle piramidi e la partitura di una canzone scritta da Bernstein nel settembre 1980. Il lavoro era dunque in fase avanzata quando un fondamentalista islamico uccise Sadat con una fucilata (6 ottobre 1981).
Un film che non vedremo mai è l’Inferno tratto da Dante Alighieri. L’idea è della prima metà degli anni Settanta.
Produttore: Alfredo Bini, quello di Pier Paolo Pasolini.
Protagonista: Dustin Hoffman. La pellicola non fu girata perché il produttore non riuscì a coinvolgere investitori internazionali. Restano 55 grandi tavole disegnate da Zeffirelli. Sono splendide, e giustamente il Museo si conclude con una stanza dove il visitatore può immergersi nei disegni animati con tecnologie digitali.


Ultima considerazione: un tempo, per fare un film, ci volevano un regista, un produttore vero, cioè disposto a rischiare il proprio denaro, l’appoggio degli studios americani o di altri investitori.
Oggi la figura chiave è il commercialista, abile nel trovare i fondi statali per il cinema, erogati in mille rivoli. Per forza i film italiani non ottengono più il successo di un tempo ormai tramontato.

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