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Ferrari, Michael Mann racconta la leggenda, ma il risultato è discutibile

Michael Mann torna dietro la macchina da presa e lo fa con un film biografico incentrato su una figura di spicco della cultura e dell'economia italiana, Enzo Ferrari, interpretato da Adam Driver

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Ambientato nel 1957, Ferrari è il nuovo e attesissimo film di Michael Mann, regista che manca dal grande schermo dall'ormai lontano 2015, quando in sala arrivò Black Hat. Presentato in anteprima mondiale alla Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia, Ferrari è il ritratto di Enzo Ferrari, interpretato da Adam Driver, e si pone l'obiettivo di restituire sullo schermo la vita a una vera e propria leggenda immortale e internazionale, che ha esportato il genio italiano in tutto il mondo e che, ancora oggi, è sinonimo di potenza, lusso e supremazia. La pellicola prende il via in un momento molto delicato: per l'ex pilota: la sua azienda, aperta da poco meno di dieci anni insieme alla moglie Laura (Penelope Cruz) è capitolata sotto i colpi brutali di una crisi che sembra portare a una terribile bancarotta. Dopo aver perso il figlio ed essere costretto a vedere solo nei ritagli di tempo la donna di cui è innamorato, Enzo Ferrari, però, non ha nessuna intenzione di arrendersi o di lasciare che le sue sconfitte influenzino la sua vita. Decide così di provare un altro folle tentivo che lo spinge verso una grande sfida quella che poi è passata alla storia come Mille Miglia.

Una leggenda che non funziona

Non è la prima volta che l'ambizione e l'arte automobilista sono state portate sul grande schermo: l'esempio più recente è rappresentato dal film Lamborghini, disponibile su Prime Video e prodotto da Andrea Iervolino e Monika Bacardi, che sono anche tra i produttori di Ferrari. Ma, nella storia della settima arte, ci sono state numerose pellicole che hanno messo le automobili al centro del proprio racconto: da Il sorpasso fino a Drive, passando per Le Mans '66, sono tanti i film che hanno cercato di restituire la magia che avviene quando alcuni piloti pieni di talento e ingegneri pieni di ambizione e creatività fanno squadra per cambiare le cose: ci ha provato, per fare un altro esempio, anche la Pixar con Cars. Non sorprende, dunque, che ci fossero tante aspettative su un film incentrato su Enzo Ferrari diretto da un esperto del cinema come Michael Mann. C'è da dire, però, che le attese non sono state completamente ripagate. Il primo grande ostacolo del film è senza dubbio nella scelta di miscelare inglese, italiano e inglese con forte accento italiano: un problema che era stato riscontrato anche in House of Gucci. Quando registi anglofoni devono raccontare storie ambientate in Italia c'è spesso questa tendenza a voler mettere qua e là parole in italiano che attori, altrimenti anglofoni, mettono in mezzo ai loro dialoghi pur avendo parlato fino a quel momento in inglese. Oppure si sceglie di far recitare gli attori con un marcato accento italiano, come è stata costretta a fare Lady Gaga, sempre in House of Gucci, e come avviene in grande parte di Ferrari. Una scelta, questa, che non aiuta affatto il film: non gli dà una senso di verosimiglianza, né tantomeno aiuta lo spettatore a entrare nella storia. Anzi, in questo modo ne viene gettato fuori, costretto costantemente a una sospensione dell'incredulità che lo costringe a uscire dal racconto per poi provare a rientrare. Sarebbe stato molto più lineare e coerente scegliere di far recitare tutti in inglese, senza pindarici tentativi di restituire un'idea (spesso stereotipata) dell'"italianità". Inoltre Ferrari, che parla di un uomo ambizioso, un ex pilota che è stato in grado davvero di cambiare la storia, affrontando tragedie e lutti, è una pellicola che manca dell'elemento principale: non ha un'anima. Sebbene gli attori siano molto bravi, a prescindere dal problema della lingua scelta - e Adam Driver è davvero eccezionale, così come Penelope Cruz che riesce sempre a rubare la scena -, e sebbene Michael Mann sappia come confezionare una regia, il lungometraggio scorre come una giustapposizione di eventi e nomi, asettico e dimenticabile. Lo spettatore si trova con una lista di nomi dei personaggi, senza che essi siano stati approfonditi quel tanto che basta per dar loro quella tridimensionalità necessaria affinché anche il pubblico si senta parte coinvolta di quello che sta vedendo. Il più delle volte, invece, ne rimane distaccato, a tratti annoiato.

Ferrari non è affatto un brutto film, ed è godibile se però lo si affronta senza aspettative, senza ricordarsi che dietro la macchina da presa c'è un metteur en scene capace di dare ai posteri pellicole Heat - La sfida.

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