Il giallo di "Profondo rosso". Che fine ha fatto il quadro col volto dell’assassina?

A 50 anni dall’uscita del film-cult di Dario Argento, rimane il mistero sul vero autore dei dipinti horror tele nella casa della sensitiva massacrata a colpi di mannaia

Il giallo di "Profondo rosso". Che fine ha fatto il quadro col volto dell’assassina?
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A 50 anni dalla sua uscita (era il 1975) il giallo (pittorico) di «Profondo rosso» resiste. E, ormai, non c’è più nessuna possibilità di risolverlo; a meno che il regista Dario Argento non si decida, dopo mezzo secolo, a svelarlo. Ma, se non lo ha fatto finora, vuol dire che dietro l’«arcano del dipinto rivelatore» c’è forse qualcosa di inconfessabile.

Il ventaglio delle ipotesi è ampio e va da venali contrasti economici a più complesse implicazioni artistiche; se poi ci aggiungiamo un pizzico di umane debolezze (invidie, puntiglio, rancori e questioni di principio), ecco che il quadro si completa. E il termine «quadro» è perfetto per raccontare la controversa vicenda della scena-chiave del film che ha come «coprotagonista» proprio una tela: esattamente quella nella quale si riflette il volto dell’assassino per una frazione di secondo, un istante troppo breve perché sia lo spettatore sia il personaggio centrale del film lo notino.

Si tratta della trovata ad effetto più geniale di una pellicola diventata leggenda. Ripercorriamo la scena cult. Mark entra nell’appartamento dove una sensitiva è appena stata uccisa a colpi di mannaia, percorre un corridoio pieno di quadri con volti inquietanti: in uno di essi, confuso tra varie teste mostruose, c’è anche la faccia riflessa in uno specchio dell’assassina ancora in casa. Il frame, nella sua velocità, è impercettibile. Mark non può coglierlo, al pari del pubblico che sta guardando la pellicola.

Ma chi è l’autore di quel dipinto n stile horror surrealista? La ricostruzione, ufficiosa, è la seguente: Argento affida le pareti del corridoio della morte al pittore torinese Enrico Colombotto Rosso, specializzato in soggetti spiritualisti ed esoterici: fantasmi dalle espressioni angoscianti perfetto per un film pauroso come Profondo rosso (rosso come il cognome del pittore amico di Dario). Rosso realizza le tele, ma al momento di attaccarle al chiodo per le riprese sul set accade qualcosa. Rosso litiga con Argento e/o con la produzione e i quadri vengono ritirati, tornando nell’atelier del maestro torinese.

Ma quei dipinti, le cui foto erano rimaste comunque in mano ad Argento&C., piacevano molto e nessuno tra gli ideatori del film voleva rinunciarci. E allora ecco l’idea, farli «rifare» da un collega di Colombotto Rosso altrettanto talentuoso. Per l’operazione viene scelto l’artista dal pennello metafisico-spettrale, Francesco Bartoli maestro apprezzato ben al di fuori dei confini del suo paese, Ceccano (Frosinone). Il restyling dei bozzetti originali va a buon fine e la scena, così come se l’era immaginata Argento, viene girata entrando nella storia del cinema horror.

Ma i quadri originali di Colombotto Rosso che fine hanno fatto? Di certo si sa che uno di essi è apparso in un altro film, «Lo stallone» girato tre anni dopo la pellicola diretta da

Dario Argento. E tutte le altre tele dipinte nel ’75 per «Profondo rosso»? Gli eredi di Colombotto Rosso (morto nel 2013) allargano le braccia: «Ne abbiamo perso ogni traccia». Chi sa qualcosa parli ora. O taccia per sempre.

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