
È come vedere un vecchio film e trovare tutte le sequenze nuove, compresi i ciak. A scegliere i fotogrammi è stato ancora una volta Alejandro Iñárritu, che per realizzare «Amores Perros» (2000), venticinque anni fa a Città del Messico, ha dato fondo a tutti i propri averi. Non è un'operazione nostalgia perché, come racconta il regista premio Oscar, il procedimento per scegliere le scene è stato totalmente diverso e cioè «andare a vedere che cosa sta dietro o forse dentro il film che ho realizzato e mi è nato spontaneo un paragone con la nascita di un bambino in una sala parto di cui resta la placenta, perché ovviamente viene preservato il bambino, ma la placenta contiene tantissimi nutrienti, sequenze di Dna, proteine». Allo stesso modo sono materiale originale, ma anche originario, le sequenze inedite in cui è possibile immergersi grazie al lavoro certosino durato sette anni del regista, entrando in un flusso di immagini quasi onirico, eppure senza alcuna alterazione del colore. Il massimo del realismo, perché «noi messicani non siamo astratti né minimalisti, ma massimalisti, amanti del guacamole e del piccante».
Ecco così «Sueño Perro: A Film Installation by Alejandro G. Iñárritu», mostra multisensoriale concepita dal medesimo regista per il Podium di Fondazione Prada. Al pian terreno un fascio di luce illumina sale buie come se si fosse al cinema: il proiettore trasmette i fotogrammi originali in 35 millimetri («i pixel e il digitale disumanizzano»), tutto secondo le tecniche dell'epoca. La colonna sonora è originale, realizzata usando il sottofondo di Città del Messico, che è protagonista non solo del film ma anche della seconda parte della mostra, «Mexico 2000. The Moment that exploded» di Juan Villoro, dedicata all'ambiente sociale, culturale, politico di «Amores Perros», al piano superiore del Podium. Il film, con le sue tre storie che raccontano ambienti molto diversi tra loro, unificate da un incidente stradale, esplora sentimenti universali come l'amore, il tradimento, la paternità, il rapporto conflittuale tra fratelli, ed è l'opera di esordio di Iñárritu.
«È un gioco che propongo a tutti voi. L'installazione sarà vista in modo diverso da chi ha visto il film e da chi non l'ha mai visto» prevede alla presentazione ed è facile immaginare che i più giovani saranno irresistibilmente attratti dai 35 millimetri e dal proiettore che chi ha qualche anno in più ricorda di aver visto al cinema e non solo nei film. Colpiscono le sequenze di «Amores y rabia» (come si legge nei ciak) anche perché sono simili eppure diverse da quelle del film, indipendenti e interdipendenti.
Libero dallo schema narrativo, dalla trama, il regista messicano si è lasciato andare alle emozioni e ha rivisto tutto il girato del film che compie venticinque anni. Durante la fase di editing di «Amores Perros», oltre trecento chilometri di pellicola sono stati tagliati e sono rimasti inutilizzati in sala di montaggio: sedici milioni di fotogrammi negli archivi cinematografici per un quarto di secolo: «In occasione dell'anniversario del film ho sentito il dovere di riscoprire e riesplorare questi frammenti abbandonati, con la loro grana e i fantasmi di celluloide che contengono. Spogliata di ogni narrazione, questa installazione non è un omaggio, ma una resurrezione: un invito a percepire ciò che non è mai stato. È come incontrare un vecchio amico che non abbiamo mai visto prima».
C'è la lista d'attesa per partecipare alla masterclass di domani alle 18.30 in cui il docente è Iñárritu.
La programmazione di settembre del Cinema Godard di Fondazione Prada dedica la sezione Soggettiva alla filmografia del regista. Insieme ad Amores Perros (2000), 21 grammi (2003), Babel (2006), Birdman (2014), Biutiful (2010) e Revenant Redivivo (2015).