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"Maestro": così Bradley Cooper racconta Bernstein a Venezia

Bradley Cooper, dopo il musical A star is born, torna al Festival di Venezia con Maestro, pellicola nella quale cerca di restituire al pubblico i picchi e le contraddizioni di un genio della musica come Leonard Bernstein

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Per la seconda volta Bradley Cooper torna al Festival di Venezia con un film che lo vede non solo in chiave di interprete principale, ma anche di regista. Nel 2018, infatti, al Lido di Venezia era arrivato A star is born, che vedeva Cooper recitare al fianco di Lady Gaga, nell'ennesimo remake dell'omonimo e famosissimo musical. Questa volta, però, Bradley Cooper - che non è venuto al Lido di Venezia a causa degli scioperi degli attori ancora in corso a Hollywood - si cimenta con un biopic, sebbene un po' atipico rispetto allo standard della storia del cinema. Maestro, infatti, racconta la vita e l'arte di Leonard Bernstein, direttore d'orchesta, compositore e musicista che i più conoscono per essere stato colui che ha composto le canzoni di West Side Story. A interpretare il genio della musica c'è lo stesso Bradley Cooper, che all'uscita del primo trailer ufficiale del film è stato anche investito dalle polemiche: la sua scelta di usare un naso prostetico per somigliare di più il personaggio l'ha fatto finire nel mirino di chi lo ha considerato antisemita, colpevole di aver utilizzato una "jewface", una "faccia da ebreo", considerata offensiva. La polemica, comunque, si è esaurita in brevissimo tempo, dal momento che gli stessi eredi di Bernstein hanno difeso il regista e attore, asserendo che Cooper ha fatto di tutto per essere il più vicino possibile alla figura di Leonard. Maestro, che debutterà su Netflix il prossimo 20 dicembre, era senza dubbio uno dei film più attesi tra quelli annunciati da Alberto Barbera a Venezia 80. Tuttavia Bradley Cooper non è riuscito ad ottenere lo stesso successo che aveva raggiunto con la presentazione del suo primo film.

Maestro, quando l'attore prende il sopravvento sul regista

Per raccontare Leonard Bernstein dal punto di vista della sua macchina da presa, Bradley Cooper ha scelto di utilizzare sia il bianco e nero sia il colore. Una velleità artistica che, a differenza di quello che ha fatto Christopher Nolan nel bellissimo Oppenheimer, non ha una vera funzione narrativa o strutturale, ma sembra essere messa in campo più per un capriccio personale, un mero esercizio di stile che non ha alcuna utilità diegetica. E questo è forse il problema maggiore di tutto Maestro. Come si era avvertito anche in A star is born, sebbene in modo meno invasivo, Bradley Cooper è un regista che appare troppo innamorato di sé e della sua visione cinematografica. In questo senso la pellicola che debutterà nei prossimi mesi su Netfix è una biografia che non racconta tanto Leonard Bernstein, quanto piuttosto mostra Bradley Cooper che "fa" Bernstein. Una pellicola, dunque, troppo egoriferita, troppo incentrata sul suo attore e regista, al punto che la storia stessa sembra scivolare in secondo piano e l'intera operazione finisce col risultare un po' noiosa. Di questo uomo pieno di talento, bisognoso di essere al centro dell'attenzione, così sicuro di sé da non accorgersi nemmeno di quando feriva le persone a lui più vicine, non rimane altro che una fioca immagine che è stata divorata dalla personalità altrettanto egoriferita di Bradley Cooper che sembra aver dimenticato che i film si fanno per il pubblico, per raccontare qualcosa allo spettatore, per coinvolgerlo e costringerlo a mettere in campo anche i propri sentimenti e le proprie emozioni. Con Maestro questo scambio non avviene se non in pochi, preziosi picchi di narrazione. Alcuni dei quali sono merito della buona prova istrionica offerta da Carey Mullighan, attrice che interpreta Margaret, la moglie di Leonard.

Questo non vuol dire assolutamente che Maestro sia un brutto film, quanto piuttosto che è un'occasione mancata. Dopo A star is born Bradley Cooper aveva la possibilità di dimostrare la sua evoluzione come regista, la sua consapevolezza nel decidere non solo quale argomento trattare, ma anche come trattarlo. E il regista e interprete principale ha scelto forse la via più impervia, quella della vanità, che passa attraverso il bisogno spasmodico di dimostrare di saper dirigere un film, ambizione che si concretizza con uno sfruttamento eccessivo di primi piani, di movimenti di macchina acrobatici che, appunto, non aiutano la narrazione né il dialogo con chi è seduto in poltrona. Persino la musica, che dovrebbe essere un elemento centrale in qualsiasi conversazione incentrata su un genio come Bernstein, rimane al margine, messa in ombra dal bisogno di Cooper di portare sempre sé stesso in primo piano.

Non il personaggio, ma la sua volontà di sentire gli applausi mentre lo fa.

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