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Rocky III, ecco come Stallone ha messo elementi autobiografici nel film

Rocky III è il capitolo della saga dedicata allo stallone italiano in cui Sylvester Stallone ha voluto raccontare quello che stava accadendo anche nella sua vita personale

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Uscito in sala nel 1982 e in onda questa sera alle 21.25 su Rete 4, Rocky III è il terzo capitolo dedicato allo "stallone italiano", il boxeur interpretato da Sylvester Stallone, diventato poi anche il "modello" per la statua che ormai da anni è uno dei simboli e delle attrazioni della città di Philadelphia.

Rocky III, la trama

Rocky Balboa (Sylvester Stallone) ha ormai realizzato il suo sogno ed è diventato campione del mondo dei pesi massimi dopo aver sconfitto Apollo Creed (Carl Weathers). La vittoria ha portato con sè, però, anche un aspetto imprevedibile: la fama. Rocky, che un tempo era pronto ad appendere i guantoni al chiodo, si trova ora sulla bocca di tutti e il mondo dello spettacolo comincia a divorare pian piano tutto il suo universo. Di colpo Rocky Balboa non è più un pugile, ma una creatura plasmata dal business, che è più interessato allo star system che allo sport che lo ha salvato. Non sorprende, dunque, che quando si trova di nuovo a combattere sul ring, Rocky subisca una sconfitta umiliante, che lo spinge a rivedere le sue priorità e a ricordare perché amasse tanto la boxe. Grazie all'aiuto di Apollo, allora, Rocky riprenderà ad allenarsi con serietà e professionalità, per avere la rivincita su colui che lo ha sconfitto (Mr. T).

Gli aspetti autobiografici di Rocky III

Ogni film della saga cinematografica dedicata a Rocky Balboa viene spesso inserito nella lista delle pellicole da vedere per chi cerca storie ambientate nel mondo della boxe. Ed è indubbio che l'universo del pugilato, con il suo onore e le sue regole, sia il grande motore di questa saga, che è stata capace di salvare Stallone dalla bancarotta e dalla decisione di abbandonare per sempre il sogno di diventare attore. Ma forse non tutti gli spettatori si sono resi conto di come il personaggio di Rocky non sia altro che una "maschera" dietro la quale Stallone ha voluto nascondere alcuni aspetti autobiografici e momenti cardine della sua esistenza. Il primo Rocky, ad esempio, raccontava la storia di un uomo con un sogno, che però era in ristrettezze economiche, sull'orlo del fallimento, costretto ad accettare lavori che non voleva pur di avere qualche mezzo di sostentamento. Questo finché non arrivava la svolta inaspettata, quel momento unico e irripetibile capace di cambiare per sempre il corso di una vita. Ed è più o meno lo stesso percorso fatto da Stallone negli anni Settanta: un attore che non riusciva a sfondare, che per un po' dormì nella sua macchina, prima di essere costretto a venderla. Un interprete che aveva accettato un ruolo nell'industria del cinema erotico e che stava soppesando se valesse la pena vendere il proprio cane per fare un po' di soldi per comprarsi da mangiare, quando, all'improvviso, la sceneggiatura di Rocky lo tolse dalla strada, dalla fame e gli restituì il suo sogno e la sua ambizione.

Con Rocky III succede una cosa molto simile. Forse si può intuire il legame tra Stallone e uno dei suoi personaggi più iconici proprio riflettendo su come Stallone abbia voluto dare a Rocky il compito di rappresentare fasi diverse della sua vita. Se nel primo film si trattava della rivalsa e della rivincita contro i colpi mancini del destino, il terzo capitolo della saga riflette sulla popolarità, la fame e il successo capace di accecare chiunque. Come si legge anche sul sito dell'Internet Movie Data Base, Stallone ha voluto inserire il tema della fama e dello show business proprio perché, come Rocky, stava vivendo uno dei momenti migliori della sua vita: era una star di Hollywood, un attore che tutti volevano incontrare, conoscere, toccare. In un'intervista con il The Hollywood Reporter, l'attore ha ricordato che "il mio ego era fuori controllo". Così fuori controllo che, ancora oggi, si trova a chiedere scusa per le interviste rilasciate all'epoca, quando era accecato dal successo che lo stava travolgendo.

In questo senso, dunque, avvicinarsi alla sceneggiatura di Rocky III è ciò che gli ha permesso di ritornare coi piedi per terra, di rendersi conto che "non ero un attore shakesperiano" e che "gli eroi action dovrebbero tenere la bocca chiusa".

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