La cinesina con due amanti suscita umorismo involontario

Diciamo la verità: non poteva essere inaugurata peggio l’alleanza tra le produzioni tedesca e cinese. Shanghai Baby, diretto dal veterano tedesco Berengar Pfahl, è una bufala di proporzioni gigantesche. Per di più estremamente pretenziosa, come il (vendutissimo, assicurano) romanzo da cui è tratta. Siamo dunque a Shanghai, dove la non più tanto baby del titolo, l’aspirante scrittrice Coco (al secolo la trentottenne Bai Ling, che dieci anni fa mandava in tilt Richard Gere nell’Angolo rosso), si divide tra due uomini, che incredibilmente non battono ciglio davanti alle sue inimitabili idiozie. Il timido pittore locale Tiantian (Gregory Wong), tenerissimo ma impotente, che si limita a riempirla di baci e carezze, e il focoso manager inglese Mark (Luke Goss), spedito dall’azienda in Cina, che a Berlino ha, temporaneamente, lasciato moglie e bambina.
La passione con l’amante numero due è esplosa presto, un delirio dei sensi a cui la fanciulla non sa resistere, anche se continua a vivere con l’altro, sempre più depresso da quando ha intuito le corna. Un dolore insostenibile, che lo porta prima lontano dalla sua bella nel sud del paese, e poi lo spinge a trovare rifugio nella droga. La storia, raccontata malissimo e immersa spesso nel buio più pesto, è involontariamente comica, grazie anche agli agghiaccianti dialoghi. Dove brillano perle del tipo: «La mia mente è piena di ombre ondeggianti come quelle di una candela», oppure: «Sei una perfezionista a giudicare da come balli».

La protagonista si macera nel dubbio, e forse proprio perché sconvolta dai tormenti del cuore, si spoglia con ammirevole frequenza. Metodo infallibile per trovare l’ispirazione artistica.

SHANGHAI BABY (Germania-Cina, 2008) di Berengar Pfahl con Bai Ling, Luke Goss, Gregory Wong. 88 minuti

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