Il circolo di via Clerici

«Nihil difficile volenti», nulla è impossibile per chi vuole, dicevano gli antichi. Nemmeno resuscitare una lingua «morta» o sorpassata come il latino, e adottarla per trascorrere lunghe serate autunnali tra amici un po’ nostalgici. Siamo nel cuore della Milano industriale, a due passi dal traffico del centro: un’aula luminosa, un antico palazzo in stile liberty, e un’insegna affissa alla parete - «Sodalitas Latina Mediolanensis» – che dà il benvenuto nel circolo più curioso e controcorrente della città. Già, perché qui, in una sala dello storico edificio di via Clerici 10, sede del Circolo filologico milanese dal 1872, il latino si legge, si commenta e... si parla. A dimostrazione che il «sermo» di Cicerone, anima culturale della civiltà europea, è tuttora una risorsa viva e vegeta, che può essere appresa e tramandata non solo sfogliando i manuali scolastici, leggendo i versi di Catullo o seguendo le imprese di Cesare e di Augusto; ma anche chiacchierando in compagnia, conversando del più e del meno davanti a un buon libro o una tazza di tè. Così, venticinque anni fa, è nata un’associazione di studiosi, accademici e latinofili (o «latino-folli», a seconda dei punti di vista) che si riunisce due volte al mese e, come facevano i «cives Romani», disquisisce di letteratura, di politica, di arte, di filosofia nell’antica lingua di Cesare.
«Siamo partiti lanciando un appello agli abbonati di riviste latine, e invitandoli in una villa fuori Milano, a Bussero, che l’allora sindaco Aldino Galli ci avevo dato a disposizione» spiega Joannes Carolus Rossi, al secolo Giancarlo Rossi, presidente di Sodalitas Latina Mediolanensis, fondata nel 1985 insieme a Claudio Piga e Stefano Torelli. «All’invito ci hanno risposto in centocinquanta. I primi tempi ci ritrovavamo nelle ville, nei bar e nei ristoranti a conversare di argomenti di ogni tipo. Parlavamo del presente, ma partendo dal lascito culturale del passato, da concetti con cui ancora oggi facciamo i conti». Poi il trasferimento nella sede del Circolo filologico, dove tuttora si organizzano incontri, letture di testi classici, visite guidate, con il coinvolgimento delle scuole superiori. «Ci ispiriamo al metodo di Hans Orberg, il linguista danese che negli anni Cinquanta dimostrò quanto fosse più semplice, per gli studenti, imparare il latino oralmente, piuttosto che studiando la teoria e le regole grammaticali». Un approccio «diretto» alla lingua che in Italia è guardato con scetticismo. «A Milano – spiega Rossi - solo alcuni licei, come il Beccaria, il Berchet o il Simone Weil di Treviglio, hanno abbracciato questo metodo, al punto da coinvolgere gli allievi, impartire lezioni, contribuire all’organizzazione degli incontri». Che nei prossimi mesi saranno dedicati a «Mediolanum», la città che deve il nome alla leggendaria scrofa semilanuta. Il programma di quest’anno, infatti, che partirà l’8 ottobre fino a metà giugno, con appuntamento bimensile, si focalizza su quegli autori, vissuti dal ‘200 al ‘600, che raccontano la città e il suo territorio.

Si parte dall’etimologia del nome, e da quella «reinterpretata» da Bonvesin de la Riva, per proseguire con la lettura dell’epistolario del Petrarca, dei «Commentari» di Papa Pio II o della «Peste di Milano» del Ripamonti, confrontata con quella del Manzoni. Sotto a chi tocca, allora. Anzi «carpe diem!» come direbbe Orazio.

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