La città dei senza lavoro? Però nessuno vuol fare l’artigiano o l’infermiere

Ci sono giornali che manifestano una gioia perversa, un piacere sadomasochista nell’accanimento feroce con cui danno (presunte) cattive notizie. Naturalmente è una scelta politica, una forma primitiva di propaganda, un modo per dimostrare «che tutto va male madama la marchesa»: perché un conto è segnalare dei problemi, altro è l’istigazione al suicidio. «Un quarto dei giovani senza lavoro», strillava ieri la Repubblica sulla prima delle sue pagine milanesi. Secondo uno studio della Cgil, naturalmente. E poi: «Fra i 16 e i 29 anni disoccupati al 23 per cento». E per chiarirci meglio le idee: «Persi 130mila posti di lavoro». Ora, sorvoliamo sui criteri con cui vengono fatte queste ricerche, se ne è parlato molte volte spesso dimostrando i limiti della loro affidabilità. E quando parlo di istigazione al suicidio non esagero troppo se si legge un servizio a caso di quelle due pagine grondanti di depressione dal gaio titolo: «la gioia della laurea poi l’inferno». Tranquilli, si parla di precari e non di deportati in campi di lavori forzati.
In effetti, comunque, lo sappiamo tutti, il problema della disoccupazione giovanile esiste ed è grave. Ma cosa propone per porvi rimedio il candidato della sinistra Pisapia? «Il Comune è assente». E cosa dovrebbe fare? «Deve garantire stage dignitosi».

Strano che un fior di statalista come Pisapia, uno che non si offende se lo chiami comunista, non sappia che la legislazione sul lavoro è di competenza dello Stato. Il punto però è un altro, ed è che se la crisi del lavoro e in particolare del lavoro giovanile è globale (...)

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