Città prigioniera dei luoghi comuni

(...) Perciò mi permetto di segnalare due opere di Emilio Costadura, che narrano la storia di Genova dal 1922 al 1945, nello spirito libero e armonico del libero patriota cristiano Bisagno.
Marginalmente note alla stampa e all'accademia universitaria le due opere mi hanno fatto conoscere l'anima genovese in una maniera molto speciale. Questo silenzio mi appare una grave lacuna e un'ingiustizia insopportabile.
La prima opera «Davanti ai fuochi» edito da Le mani di Recco - riguarda la vita di una coppia composta da un ufficiale, Oliviero, di macchina della marina mercantile, di origine siciliana, sposato a una maestra elementare genovese, Maddalena, molto impegnata nella vita parrocchiale e nella cultura popolare fascista.
La seconda opera «Il bel giorno nostro 1938-45» edito da De Ferrari di Genova - racconta la vita di uno studente genovese immerso in una comunità contadina sopra Torriglia, nel momento cruciale della scelta partigiana. Tra mare e monti la città appare di scorcio, nel momento della sosta forzata del comandante disoccupato e della moglie maestra in difficoltà; e nel momento della liberazione, che il giovane protagonista vive nel centro dello scontro finale e della fuga dei tedeschi. Il valore dei due libri sta nella libera e feconda esposizione di sentimenti e idee che fioriscono nell'anima popolare, fuori dall'antinomia congelata di dogmatica antifascista e revisionismo. Le vicende di Oliviero e Arturo nel gorgo tra le due guerre «s'intralcia» come direbbe Ippolito Nievo con la storia nazionale di quegli anni. Sono romanzi storici nell'alveo della grande tradizione italiana, e si collocano nella lista dei grandi. Ma la lingua del mare e del mondo contadino ligure non hanno uguali,a mio modesto avviso, per drammaticità e classicità di composizione, studio di sentimenti e idee nella mente e nel cuore del popolo, vitalità storica concreta.
Ho rotto il silenzio della nostra stampa, che nuota in una marea di testi e di memoriali, per un dovere di coscienza. La transizione di idee e sentimenti che sta vivendo la nostra cultura genovese e nazionale, richiedono testi come questi con parole nuove che si formano nel solco della storia e della memoria, capaci di generare ancora una storia degna dell'uomo libero. Se dovessi citare una cifra di questi lavori, la indicherei nello spirito alto, libero, cristiano di Bisagno, la cui lezione non ebbe gli sviluppi maturi che si vedono in questi due lavori di un genovese verace, che non si adagiò sui dogmi delle partizioni del potere, il professore di liceo e preside all'estero, Emilio Costadura.

Con queste poche note che ben altro sviluppo richiederanno, voglio solo aprire il caso letterario e culturale che il silenzio ingeneroso di questa città rischia di seppellire sotto la cappa asfissiante dei luoghi comuni. Da questo giornale, che sta smuovendo le rigide croste di ghetti, cordate, scaffali e menti, vorrei con te, dar inizio a un giusto ripensamento.

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