Città verticale Finalmente se ne riparla

Si riparla, finalmente, di «sviluppo verticale» per Milano. Di una metropoli che cresce, in altezza o in profondità, per sfuggire alle strettoie che la storia e la configurazione del territorio le hanno imposto nel cuore di una conurbazione – così parlano gli esperti – unica e problematica. Il progetto del tunnel che inghiotta nelle viscere della città il 50 per cento del traffico, in una dimensione aggiuntiva, quasi un altro piano dell’universo urbano, può considerarsi un omaggio conclusivo della stagione di Gabriele Alberini alle esigenze vere della nostra comunità, un tributo alla realtà storica e, insieme, il suo superamento. Un supertunnel che, facendo scorrere al suo interno una buona parte del traffico che oggi ci strangola e ci appesta, consenta una respirazione più sana e vitale a una comunità affaticata, quasi fosse un polmone aggiuntivo. Trentaquattro chilometri di libertà conquistata, strappata alle viscere di un sottosuolo che riserva, sì, difficoltà e sorprese, ma resta tuttavia l’unica direzione percorribile. Milano non sorge nel deserto, non ha la disponibilità di spazio propria di città inventata l’altro ieri in una natura smisurata.
Milano ha la sua stagionatura, in un paesaggio fisico di straordinaria densità umana. Il territorio è uno dei pochi beni non riproducibili, ci è dato una sola volta e resta sempre quello, in eterno. Questa verità era acquisita da tempo. Già alla fine degli anni Settanta, quando una serie di vincoli impedivano l’utilizzo degli scarsi spazi ancora disponibili, si era aperto un dibattito sulla possibilità dello sviluppo verticale. Mancavano case, strade, spazi verdi, aree da destinare a servizi qualificati e s’era pensato che i grattacieli e i tunnel di scorrimento potessero rimediare alla fame di territorio. Eravamo in un’altra stagione, ideologie sui «modelli di sviluppo» imponevano rigidità e scomuniche. I tunnel e i grattacieli sembravano un po’ delle «americanate», figurarsi che in quel periodo si bocciavano le metropolitane, giudicate «borghesi», e si diceva di preferire i tram «proletari».

Ebbene, lo spazio, il territorio non sono né di destra né di sinistra. I puristi della città utopica predicavano lo sviluppo «a misura d’uomo». Ora, la misura è colma e gli uomini stentano a muoversi. Speriamo che certi pruriti ideologici s’interrino, negli scavi del tunnel.

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