La cosa è certa: oggi un milanese medio conosce meglio le Maldive o Sharm el-Sheikh che non Quarto Oggiaro,l’Ortica o Ponte Lambro. La Milano che abbiamo in testa è spesso molto più vecchia di quella reale.Che ci sia un po’ di differenza, è fisiologico, ma quando ce n’è troppa è meglio intervenire. Ecco perché ho pensato che poteva essere utile girare per Milano con penna e taccuino e osservare quello che credevo di conoscere. Il modo migliore per procedere nell'operazione è quello di salire su un tram o su un autobus e, semplicemente, vedere dove va, magari scendere in un punto che ci incuriosisce particolarmente, prendere qualche appunto, scattare una o due foto e poi risalire sul mezzo successivo. Ho deciso di cominciare dalla linea che passa sotto casa mia, la 54. Un tempo la 54 attraversava Milano dall' Ortica a Largo Brasilia. Poi, negli anni '90, qualcuno ebbe la brillante idea di spezzare in due la città piazzando il capolinea di molte linee nel centro cittadino (capisco bene il problema, che era quello di incrementare il servizio in periferia senza allungare troppo le linee: ma la soluzione servì solo a creare nuovi problemi). Subirono questo destino le linee 60, 73, 15, 23 e altre, fra cui la 54, che oggi unisce il centro con la stazione di Lambrate. Non parlerò del primo tratto, da piazza Diaz a piazza Tricolore, perché voglio dedicare al centro e ai suoi mutamenti un capitolo a parte. Non parlerò nemmeno della direttrice Concordia-Indipendenza-Plebisciti-Argonne per lo stesso motivo: avremo modo di parlare del cosiddetto semicentro. Più interessante, oggi, è il percorso che comincia da viale Argonne, attraversa il glorioso quartiere dell'Ortica per raggiungere l'antico comune di Lambrate.
Passiamo il ponte dell'Ortica, o Cavalcavia Buccari - che supera i binari delle linee ferroviarie per Roma e Genova -, e pieghiamo a sinistra. Prima di raggiungere via Ortica attraversiamo un tipico quartiere di ferrovieri, che precede la vecchia stazione dell'Ortica, posta su una linea che oggi non esiste più. A parte i binari divelti, i segni del passato si sono conservati: dall'edificio della stazione, piuttosto bello, alla palizzata di cemento che separa lo slargo antistante e una specie di deposito-orticello.
L'insediamento ferroviario lascia subito il posto a un agglomerato che, pur presentando perlopiù edifici abbastanza recenti, porta i segni di una storia più antica. La chiesetta di san Faustino, posta sul bivio tra la via omonima (la vecchia via per Lambrate) e via Ortica, ci immette nel piccolo quartiere immortalato dalla canzone di Jannacci.
Di fronte alla chiesa, ecco una delle poche case di ringhiera ancora esistenti: ecco qualcosa da proteggere, un pezzo di memoria milanese che potrebbe sparire da un momento all'altro.
Addentrandoci in via Ortica ci si sente un po' come color che son sospesi. Del vecchio quartiere resta poco: qualche edificio ricorperto di edera, una trattoria che si finge genuina, e poi costruzioni anni sessanta, quando allargare la città voleva dire soltanto buttar giù qualcosa e tirar su qualcos'altro: un costume che ha prodotto autentici crimini, come a Ponte Lambro. Ma ci sono anche i segni - come una buona birreria artigianale destinata a una clientela di giovani - di una volontà di rilancio più recente. Tutto però è rimasto a metà, nessuno tiene in mano le redini.
Al termine di via Ortica si passa sotto un altro troncone ferroviario (quello per Brescia e Venezia) e il paesaggio cambia di nuovo, diventa rarefatto, gli edifici si distanziano, aumentano i grandi condomini, i magazzini, le ex-officine. Un altro quartiere con case di ferrovieri chiude idealmente l'Ortica per aprire una nuova area, situata tra l'Ortica e Lambrate: l'area della ex-Innocenti.
E sul fianco della ferrovia per Venezia ha inizio una delle vie più belle di Milano: via Pitteri, che la 54 ha il buon gusto di percorrere per intero.
Del poeta Riccardo Pitteri nessuno conserva il minimo ricordo. L'infame però si meritò questo singolare gioiello: un rettilineo di un chilometro circa con una lunga, interessantissima storia da raccontare.
Si comincia con le case dei ferrovieri, che io amo per la loro grigia dignità cittadina e campagnola insieme (un po' com'erano le nostre ferrovie prima della tav), poi, passato l'incrocio con via Trentacoste, si giunge a un edificio storico: la "nuova sede" dei Martinitt voluta nel 1932 da Mussolini. La costruzione non manca di qualche delicatezza architettonica, come il portichetto che precede l'ingresso.
Di fronte, una vasta area militare dominata da due specie di trulli - depositi d'armi, forse, o rifugi antibomba - che sono la cosa più visibile di tutta la via. Martinitt e area militare sono i due elementi di blocco (per ora) destinati a rallentare l'evoluzione della zona. Meglio così.
Ricorrono, lungo tutta la via, diverse abitazioni-officina, tipiche della cultura lombarda: di sopra si abita, di sotto si lavora. Da qualche cancello fuggono ancora, talora, dei binari ferroviari. Queste case spesso sono tutt'altro che brutte, segno di un'attenzione naturale, feriale, abituale alle cose belle e ben fatte, di una cultura del lavoro capace di rinnovarsi nelle forme ma dalla radice antica.
Passata via Rubattino - altra via molto interessante, teatro di una vicenda drammatica tra dismissione di fabbriche e riconversione dell'area - s'incontra sulla destra l'area della ex-Innocenti. Della vecchia fabbrica resta soltanto il bellissimo ingresso, sulla cui destinazione evidentemente restano alcuni dubbi (per fortuna).
Il resto dell'area è occupato in gran parte da edifici d'abitazione non sgradevoli, dove i costruttori si sono sforzati di offrire servizi che di solito il moralismo meneghino esclude dai quartieri residenziali, sia popolari che signorili: qui esci di casa e trovi subito dove far la spesa - e non solo l'Esselunga - o dove bere un caffè. Qui, mi dico, dev'esserci lo zampino di un non-milanese.
Se il nuovo quartiere presenta dei vantaggi, come un bell'ordine scenografico, una vera piazza e un bel viale pedonale (forse solo un po' tristanzuolo), quello che lascia a desiderare è la toponomastica: non che i caduti di Marcinelle, i caduti in tempo di pace e Maria Grazia Cutuli non vadano onorati, ma tutti insieme è un po' troppo.
Intanto, sull'altro lato di via Pitteri, si presenta il primo dei numerosi ricoveri per anziani della zona. Un altro si incontra al termine della via, dove continua con altro nome verso quella che doveva diventare una via modaiola e invece non è niente: via Ventura, dalla fama immeritata.
Girando a sinistra, invece, ecco il borgo di Lambrate, insediamento prima agricolo e poi industriale (ricordate la Faema di Eddy Merckx?) con la sua chiesa fieramente piazzata nel mezzo, al principio di un'altra bella via, stavolta una via di paese: via Conte Rosso. Qui abbondano i negozi: quelli che potresti trovare ancora in un paese e quelli che possono esistere solo in città. Sullo slargo antistante la scuola elementare c'è un giardinetto, dove i giochi per i bambini convivono con i malinconici murales di alcuni writers più garbati rispetto alla media.
Tutta la zona è disseminata di begli edifici, vecchie ville o abitazioni signorili che dignitosamente convivono con un "nuovo" che con gli anni è diventato più vecchio di loro.
Dopo questo agglomerato gradevole e molto difficile da inserire in qualsiasi piano di sviluppo territoriale la 54 attraversa la rotonda di via Rimembranze di Lambrate, in una zona più anonima adiacente all'ormai vicina stazione ferroviaria.
Da questo piccolo viaggio traggo una morale, questa: studiate la storia di Milano, ma poi fatevi un giro per le sue periferie, tenendo gli occhi aperti. Capirete così quanto è drammatica la storia (ogni vera storia) e capirete anche se quelli che scrivono la storia ve l'hanno contata giusta oppure no.
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