Clandestini, è una farsa: tremila denunciati ma neppure un espulso

A un anno dall’entrata in vigore del pacchetto sicurezza che ha introdotto il reato di clandestinità, a Milano non si può certo dire che con gli irregolari sia stato usato il pugno di ferro. Tremila denunce, poche decine di azioni penali esercitate dai pm, due sentenze di espulsione pronunciate, zero le espulsioni effettivamente eseguite.
In pochi numeri, è questa la fotografia. Dal 16 settembre sono state diverse decine i procedimenti incardinati davanti al giudice di pace per il reato di clandestinità. In 63 casi hanno condotto a una sentenza di condanna, ma solo due volte sono sfociate in un provvedimento di espulsione. Ma la norma non è disapplicata dai giudici di pace. Non è da loro che si ferma l’iter. È vero, infatti, che sono 3mila le denunce. Ma quelle che sfociano davvero nell’azione penale - si tratta di un processo a tutti gli effetti - sono circa il 2 per cento: appena una sessantina finora. «Noi non abbiamo arretrato da smaltire» precisa il coordinatore dell’ufficio dei giudici di pace Vito Dattolico. Dunque lo scoglio sono i pm, che hanno invece un arretrato enorme, e che - pur vigendo in Italia l’obbligatorietà dell’azione penale - proprio per la mole delle notizie di reato esercitano di fatto un’azione facoltativa.

Anche i casi che arrivano dal giudice di pace, è vero, sono risolti nella quasi totalità dei casi con l’applicazione della pena pecuniaria, da 5 a 10mila euro (che comunque non viene pagata praticamente in nessun caso). Ma questo - per l’ufficio dei giudici - dipende dalla indisponibilità materiale della questura a eseguire le espulsioni, con tanto di biglietti aerei e personale disponibile all’accompagnamento.

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