In classe si parla il linguaggio dei sordomuti

Bilingue già dai primi anni di scuola. Ma questa volta l’inglese non c’entra. Parliamo di una lingua speciale, quella silenziosa dei segni, che permette ai sordi di comunicare. E che grazie al progetto «Vivilis» - finanziato dalla Provincia e sostenuto dall’Ens, ente nazionale sordi - diventa una seconda lingua anche per chi ci sente bene. Succede all’istituto Jacopo Barozzi (che comprende elementari e medie) e alla materna di via Giambologna dove quindici fra bambini e adolescenti completamente sordi sono inseriti nelle classi assieme agli altri compagni. L’insegnante di lingua Lis è per tutti, così l’handicap di uno si trasforma in una «marcia in più» per tutti gli altri. Non solo. I corsi sono rivolti anche a educatori, professori e bidelli e da quest’anno, il terzo del progetto, sono aperti anche ai genitori. «Sono stati i familiari a richiederlo - spiega Letizia Capra, l’insegnante responsabile - vedevano i figli comunicare a gesti con il compagno sordo e volevano capirci qualcosa anche loro». Così molti allievi della Barozzi sanno esprimersi come i sordomuti «imparano a presentarsi, cominciano prima a conoscere i nomi degli arredi scolastici poi via via a cogliere situazioni più complesse, come si fa con l’inglese. Certo non tutti allo stesso modo - ammette la professoressa - ma, grazie ai compagni sordi, hanno imparato a non urlare, a scandire bene le frasi e a parlare di fronte all’uditorio e non alle spalle».
Il nome del progetto Vivilis traduce il senso dell’iniziativa: con una lingua si vive e la Lis davvero ha aperto un mondo a ragazzini che vivevano isolati. Lo conferma la psicologa Raffaella Carchio (anche lei parte del progetto che comprende sei esperti linguistici, un educatore sordo, Mirko Pasquotto e cinque insegnanti di sostegno): «Ho seguito due fratellini sordi di 5 e 6 anni, figli di genitori sordi: dopo un anno di asilo entrambi hanno fatto passi da gigante, imparando a esprimersi, tant’è che la famiglia ha rinunciato a tornare a Trapani dove viveva». Non per tutti i progressi sono altrettanto rapidi, dipende dall’età, dal grado di sordità e dalla nazionalità. «Fra gli alunni un bimbo peruviano che aveva fatto solo la prima in Perù ed è arrivato qui a 11 anni. Per lui è stato più difficile inserirsi ma, dopo due anni, ha imparato anche lui a esprimersi a gesti». Il progetto Vivilis è nato sulla scia (positiva) di altre esperienze simili, le scuole bilingui di Padova, Biella e Roma. «Gli istituti speciali in Italia non esistono più, l’ultimo a Milano è stato chiuso nel ’94 - ricorda Luigi Mattiato presidente Ens - Questa scelta ha danneggiato i sordi più gravi, quelli cioè che non hanno uno strumento acustico adatto al loro disturbo. Se poi il ragazzino sordo è pure straniero i problemi aumentano. La scuola media Barozzi è l’unica che offre un doposcuola agli allievi sordi e promuove in sede corsi di Lis per insegnanti (da quest’anno aperti anche ai genitori che lo desiderano), in altre città le famiglie sono costrette ad arrangiarsi».

La sordità in Italia colpisce un bambino su duemila, «è una percentuale reale - fa notare Mattiato - Non è mai stato scoperto un falso sordo, il disturbo viene diagnosticata, al più tardi a un anno di età». La Provincia di Milano spende un milione e 500mila euro all’anno per i sussidi a ciechi e a sordi.

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