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Clinton in Corea «libera» le giornaliste Usa

Difficile che una visita sia davvero privata se di nome ti chiami Bill e di cognome Clinton, sei un ex presidente americano e tua moglie Hillary è il capo della diplomazia degli Usa. Infatti alla versione ufficiale non crede nessuno: Clinton si è recato ieri a sorpresa nella Corea del Nord in perfetta sintonia con la Casa Bianca. E poco importa se abbia o meno consegnato un messaggio ufficiale da parte di Obama (i coreani lo hanno confermato, la Casa Bianca lo ha smentito), il senso dell’iniziativa è chiaro e segna una nuova spettacolare tappa nella politica della mano tesa avviata dagli Stati Uniti nei confronti di quasi tutti i Paesi del mondo, inclusi i cattivi. E questa volta il cattivo di turno, il dittatore Kim Jong-Il, si è mostrato disponibile, concedendo la grazia e liberando le due giornaliste americane di origine asiatica, arrestate in marzo al confine settentrionale della Corea, mentre tentavano di entrare illegalmente nel Paese e già condannate a dodici anni di lavori forzati. Il successo conforterà la Casa Bianca e le sue offerte di dialogo: all’Iran (peraltro con pessima scelta tempo, considerato che la lettera alla Guida suprema Ahmadinejahd fu inviata un mese prima delle elezioni); al regime cubano di Raul e Fidel Castro; alla Cina, ovviamente, da cui è sempre più dipendente; ai governi di sinistra dell’America latina e a quelli sunniti del mondo arabo. Solo a Myanmar e al Sudan non sono state rivolte lusinghe.
Clinton torna da Pyongyang portando in dote la liberazione delle due giornaliste. E con la speranza di aver avviato un canale di dialogo con l’ultimo regime autenticamente stalinista del mondo, che lascia morire i suoi cittadini di fame, ma possiede la bomba atomica e missili a luna e media gittata.
Fu proprio Clinton l’ultimo presidente americano a firmare un accordo con la Corea del Nord e nel 2000 sfiorò persino la visita ufficiale, mentre il suo segretario di Stato, Madelaine Allbright, fu l’ultimo ministro degli Esteri statunitense a recarsi a Pyongyang. Quell’intesa prevedeva la sospensione della produzione di plutonio, ma decadde nel 2004 con Bush. Da allora la comunità internazionale ha tentato pressioni di vario tipo, a cui il dittatore Kim Jong-Il ha risposto con test nucleari sotterranei e il lancio sperimentale di missili balistici.
Ma Kim Jong-Il da un anno è malato: pare abbia subito un ictus o un infarto e nelle fotografie ufficiali appare vistosamente dimagrito. Gli esperti sostengono che il regime sia entrato in una fase di transizione e la mossa di ieri permetterebbe agli Usa di riposizionarsi per orientare nella direzione del dialogo il rapporto con l’eventuale nuovo leader.
Non è chiaro a questo se l’invio e il successo di Clinton segni l’inizio di una nuova fase nella carriera dell’ex presidente, che il New York Times ha già ribattezzato «l’inviato coniugale». Sua moglie e Obama intendono affidargli altre missioni? O è stato scelto solo perchè dieci anni fa aveva buoni rapporti con il governo di Pyongyang?
Non è la prima volta che Washington affida ad ex presidenti mediazioni internazionali. Carter, ad esempio, ebbe successo proprio a Pyongyang e ha tentato di favorire il dialogo tra israeliani e arabi. D’altronde non è nemmeno del tutto inusuale che il consorte di un esponente di alto profilo dell’Amministrazione benefici di tanta visibilità. La stessa Hillary, quando era first lady, nel 1995 si segnalò per una gaffe quando accusò Pechino di violare i diritti umani, mentre suo marito ridimensionava le critiche per migliorare i rapporti bilaterali.

Eleanor Roosevelt faceva sentire spesso la sua voce sulle questioni sociali e nel 1945 conquistò l’ammirazione dell’opinione pubblica per il ruolo decisivo nella preparazione della Dichiarazione universale dei diritti umani. Che cosa riserva il futuro a Bill Clinton?

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