Un codice a barre inserito nel collo

Il microchip Iso, detto anche trasponder, è contenuto in una capsula iniettabile di vetro biocompatibile lunga 11 mm e dal diametro di 2 mm. Sul chip, che viene inserito nel collo del cane, è impresso un codice a 15 cifre, contenente le varie informazioni su animale e padrone.
La vecchia metodologia di identificazione si avvaleva del «tatuaggio», un numero impresso con una particolare pinza all’interno del padiglione auricolare, riportato poi in un registro anagrafico comunale. Il «tatoo» comportava però diversi svantaggi: bisognava sedare l’animale; era difficile leggere i dati e l’inchiostro col tempo si scoloriva.
Per ovviare a queste problematiche si è passati al microchip, grazie al quale è possibile un’ immediata identificazione del padrone o del detentore dell’animale smarrito. Inoltre funzionerebbe sia come deterrente ai furti sia come inibizione agli abbandoni, perché sarebbe semplice risalire al proprietario.
In realtà questo metodo di identificazione, chiamato «anagrafe canina», è già presente da diversi anni in Italia ma la sua applicazione è irrisoria. Sia perché non esistono banche dati che vadano al di là della provincia, sia perché manca l’interesse nei confronti dell’iniziativa.

In Gran Bretagna nel microchip compariranno: nome del cane, razza, età, condizioni di salute, nome del proprietario e il suo numero di telefono. E i dati confluiranno in una banca dati nazionale. Ma la Gran Bretagna si sa, non è l’Italia.

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