Cogne, "conflitto interiore la causa". Franzoni: delusa

Le motivazioni della sentenza di condanna. "Non riusciva a gestire i figli. L'omicidio fu un massacro. Attenuanti concesse per un disturbo psicologico". L'arma del delitto "un oggetto da cucina poi fatto sparire". La replica: "Provo una profonda delusione"

Cogne, "conflitto interiore 
la causa". Franzoni: delusa

Torino - "La causa scatenante" dell’omicidio del piccolo Samuele Lorenzi risiede "probabilmente in un conflitto interiore" di Anna Maria Franzoni. Lo scrivono i giudici nelle 533 pagine delle motivazioni della sentenza d’appello che ha condannato la Franzoni, ma riducendo la pena a 16 anni di reclusione. Un conflitto interiore che "aveva radice nell’ambito familiare" scrivono i giudici. In particolare la causa è stata la "difficile gestione da parte sua dei due figli bambini, gestione caratterizzata - nei riflessi che aveva sul funzionamento psichico dell’imputata - da sopraffaticamento e da stress".

Massacro L’omicidio del piccolo Samuele Lorenzi fu "un vero e proprio massacro". Si legge nelle motivazioni della sentenza. La Corte d’appello nel ridurre la pena ad Annamaria Franzoni "non vuole affatto sminuire - è scritto - la portata del delitto commesso dall’imputata". Quella di Anna Maria Franzoni è stata una "condotta efferata, un dolo intenzionale di omicidio che ha superato in un breve momento ogni freno. Come è reso evidente dal vero e proprio massacro della testa del suo bambino". Samuele, come hanno ricostruito i giudici "tentò pure un debole atto di difesa restando ferito alla mano".

Fatti certi Contro Anna Maria Franzoni ci sono "fatti certi" che costituiscono "un quadro di elementi univoci e concordanti". A cominciare dalla posizione della persona che ha percosso il bimbo. L’aggressore, per i giudici, indossava sia i pantaloni e la casacca del pigiama sia gli zoccoli appartenenti ad Anna Maria ("zoccoli riportati al piano superiore dopo il fatto"). Inoltre si era inginocchiato sul lettone ai piedi di Samuele, come per volere "incombere sulla vittima": questo comportamento è "riconducibile a una madre che vuole imporre al figlio la propria autorità e la propria forza punitiva". La mamma di Samuele, inoltre, nel ricostruire l’accaduto è caduta in "contraddizioni" ed è stata smentita dai testimoni "su particolari rilevanti". Per esempio, "l’avere indossato gli zoccoli durante i soccorsi, l’aver lasciato aperta la porta, l’aver indicato al 118 un fatto naturale escludendo qualunque trauma, l’aver addotto un alibi (relativo al momento in cui si era vestito e soprattutto al tempo e alle modalità di uscita di casa) smentito da altre acquisizioni processuali".

L'arma del delitto La Franzoni, dopo aver colpito il figlio Samuele "con un oggetto domestico2 in preda a una sorta di raptus, prima di chiamare i soccorsi ha nascosto l’arma del delitto, forse nel suo zainetto. Secondo i giudici, la donna ha percosso il bambino con "un pentolino, un mestolo o comunque, con buona verosimiglianza, uno strumento appartenente a un genere di cose di utilizzo domestico". L’arma è stata "forse avvolta in qualche modo" (e qui la sentenza si richiama alla scomparsa di un calzino dalla casa) "e poi o lavata e rimessa a posto", come si ricava da alcuni riferimenti di Anna Maria sui tempi di lavaggio dei mestoli carpiti durante alcune conversazioni intercettate dai carabinieri, "o collocata nella borsa per il trasporto esterno previo accurato avvolgimento". La Corte sembra propendere per quest’ultima ipotesi perché cita il ritrovamento di "una traccia latente di sangue della vittima" sul perno della zip della borsa.

Attenuanti "La Corte non può non tenere conto del fatto che Anna Maria Franzoni ha sofferto di un reale disturbo, che rientra nel novero delle patologie clinicamente riconosciute (degne anche di trattamento terapeutico), ma che nel sistema giuridico-penale vigente non costituisce di per se stesso infermità che causa vizio di mente". Così, facendo riferimento alla patologia ansiosa di cui, secondo i giudici soffriva l’imputata, viene spiegato nelle motivazioni della sentenza d’appello del caso Cogne, il perché siano state concesse le attenuanti generiche equiparandole alle aggravanti. A proposito, poi, dell’indulto, i giudici precisano di aver ritenuto di non applicarlo "perché l’imputata è indagata in questa medesima sede giudiziaria per concorso in calunnia aggravata con l’effetto che, ove mai l’imputata fosse condannata anche in esito al corrispondente processo, l’indulto dovrebbe esserle applicato in seguito, sulla pena cumulata".

Niente indulto Per adesso la Franzoni non beneficia dell’indulto.

Lo affermano i giudici al termine delle motivazioni della sentenza precisando che la causa è da cercare nel fatto che la donna è ancora indagata a Torino per calunnia nel procedimento chiamato Cogne Bis su una presunta alterazione della scena del delitto. L’indulto potrà eventualmente essere applicato quando la Franzoni al termine di un processo per calunnia, verrà condannata.

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