Cohen, Young, Dylan, Cash E il rock diventa vita vera

Alle origini il rock era «musica marziale di tutti i delinquenti sulla faccia della terra» (Frank Sinatra dixit); poi s’è discusso quale fosse il suo valore rivoluzionario. Ora tanto tempo è passato, il rock con i suoi pregi e difetti è colonna sonora della nostra vita, ma il critico Walter Gatti - in quartetto con Paolo Vites, Rino Maniscalco e Stefano Rizza - va ancora più a fondo, chiedendosi se e come questa musica abbia detto qualcosa di importante sulla vita, sulla morte, sull’amore. Lo fa con l’interessantisimo Help! Il grido del rock (Itaca), libro di «documentazione critica» che analizza (in sei capitoli) 113 classici alla ricerca dell’umano dietro la patina dell’intrattenimento e dell’utopia. L’utopia che comunque è importante (nel secondo capitolo)all’insegna del «vogliamo il mondo e lo vogliamo adesso» di Jim Morrison o del «voglio morire prima di diventare vecchio» dei Who. È il canovaccio della musica anni ’70, delle lotte per i cambiamenti sociali, che prende slancio con California Dreamin dei Mama’s e Papa’s, rimbalza in Inghilterra col quasi puerile (ma quanto all’avanguardia) urlo beatlesiano All You Need Is Love, passa dalla stagione degli hippie (Woodstock di Joni Mitchell e Wooden Ships di Crosby Stills & Nash) per approdare all’impeto punk di Anarchy in the UK dei Sex Pistols e toccare le alte vette della poesia con Imagine. Prima dell’utopia c’è l’uomo e la realtà, ovvero la capacità dell’artista rock di farci capire il mondo attraverso un testo e una melodia. La canzone vera contro quella fasulla; tra le canzoni «reali» più significative della storia c’è Ambulance Blues di Neil Young; un dolente autodafé per voce e chitarra in cui il cantautore sbatte la faccia contro la realtà che «uccide l’atmosfera magica del folk», quando «è facile rimaner sepolti nel passato se si cerca di far durare una cosa bella» e «non c’è nulla come un amico che ti dica che stai solo pisciando nel vento». Parole dure come mazzate, come quelle di Folsom Prison Blues di Johnny Cash, che tra la galera e il fischio del treno fa lo spaccone cercando di frustrare il rimorso e il desiderio di redenzione. La risposta a questa voglia di rinascita è il rifugio nell’intimo, nel desiderio di Blowin’ In the Wind (citata nel ’97 da papa Woityla al Congresso Eucaristico)o nel riscatto springsteeniano di Born to Run, o ancora nella profezia di Bob Dylan (che rimanda al Kafka di «Voglio essere pronto per la salvezza») I Shall Be Released. La strada, il viaggio sono i temi classici del rock; il viaggio maledetto di Robert Johnson che vende l’anima al Diavolo, e quello avventuroso del terribile Dirty Boulevard di Lou Reed.
E dalla strada il rock cattivo risorge con l’amore. Facile scrivere una canzone d’amore, ma quelle rock ti danno un pugno nello stomaco se hanno il taglio drammatico di Boots of Spanish Leather di Dylan, la complessità mistica di Suzanne di Leonard Cohen, o la semplicità di You’ve Got a Friend.

E poi, come forma più alta, il rock si confronta con il divino (da God di Lennon a Wake Up Dead Man degli U2) dove la ricerca spirituale si staglia contro lo spiritualismo d’accatto in cui - come dice Gatti - «il rock è un moloch che fa soldi con tutto, anche col controculto».

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