Il prescelto è Mario Monti. In 24 ore si becca la nomina a senatore a vita e un passaporto per guidare un governo tecnico salva crisi. A quanto pare niente elezioni e un sospiro per banche, imprese, Confindustria e mammasantissima vari. Tutti sperano di aggiustare i conti. Il prezzo da pagare per gli italiani sarà alto, ma a quanto pare non c’è alternativa. La speranza è di ridare fiato e forza all’economia reale, quella di chi produce, lavora, fatica. Il timore è che i mercati, spettro indefinito della city globale, non si accontentino dei sacrifici. La scommessa è tamponare il presente e fare quelle riforme di cui tutti parlano ma che alla fine pochi vogliono. Si vedrà.
Questa è stata una giornata tutta di corsa, con quello spread alle costole che fa sudare il Quirinale e Palazzo Chigi, le opposizioni e pezzi sparsi di maggioranza. È un rimbalzare di voci senza conferme. Napolitano telefona a destra e manca per capire quanto stia in piedi la possibilità di un governo tecnico. Chiama Bersani che borbotta un mezzo sì, ma con una sfilza di garanzie. Berlusconi si ritrova con un partito bifronte, con Alfano, Scajola, Letta, malpancisti rimasti fedeli, post democristiani vari, ciellini in fibrillazione che gli massacrano testa e cuore per convincerlo ad accettare un Monti o un Amato, mentre gli ex An e berlusconiani ortodossi vogliono le elezioni subito, anche a Natale. Il Cavaliere sta lì, a consultare il suo istinto.
L’idea di «tecnici» o «grandi intese» gli sta ancora parecchio sullo stomaco, ma dire no non è tanto semplice e neppure così saggio. In tutto questo il tempo è una merce che costa, e diventa sempre più cara.
Il gioco cinico dei mercati non sopporta l’incertezza. C’è la fuga dai titoli di Stato, il rendimento dei Btp supera il 7 per cento, Piazza Affari perde il 3,78. Chi investe ragiona in modo rozzo. Quello che chiede all’Italia è una trama facile, qualcosa che tutti possono capire. Vogliono sapere quando si dimette Berlusconi, i tempi per approvare la legge di Stabilità, pagando così le promesse fatte all’Europa, chi governerà dopo il Cavaliere e se a deciderlo sarà il Palazzo o il voto degli elettori. Tutto il resto è fumo, incertezza, caos e in più ci godono a speculare sull’Italia.
È il sentimento della belva che azzanna la preda. Il sangue chiama sangue. Reagire. Stabilizzare. Certezze. È quello che si cerca di fare. Il primo passo è accorciare i tempi e stabilire una rotta precisa per rispondere all’Europa. Venerdì si vota al Senato, sabato pomeriggio si dovrebbe chiudere la questione delle misure economiche. Domenica il Cavaliere si dimette. È il primo segnale forte agli scettici. Il percorso c’è ed è chiaro. Naturalmente non basta. Il tono del piano anti crisi parla davvero di lacrime e sangue. Nel calderone ci sono 14 miliardi di tagli all’assistenza e 14 alle agevolazioni fiscali. Nessun partito ha voglia di prendersi in esclusiva una responsabilità del genere. Meglio, se si riesce, spalmare i costi politici dall’una e dall’altra parte. Facile a dirsi, un po’ meno a farlo davvero.
È qui che si apre allora il secondo rebus. Berlusconi si dimette, ma a chi passerà la palla? Napolitano per tutto il giorno cerca di inserire i nomi giusti nel cruciverba. Il primo passo è risolvere la questione del nuovo capo di governo, cercando di vedere chi è disponibile ad appoggiarlo. Si parla di Amato, ogni tanto rispuntano i nomi di Alfano e Letta, per segnare una continuità, ma quello che torna con insistenza è proprio Mario Monti. Con chi? Bossi e Di Pietro probabilmente si terranno in disparte, pronti a capitalizzare un’opposizione «furba». Puntano su un incasso elettorale. Se salta questa road map all’orizzonte ci sono solo le elezioni anticipate. Quelle dal punto di vista democratico più legittime.
Quelle che tentano Berlusconi, ma che puzzano di scelta irresponsabile. Alla fine il Cavaliere dà il via libera. Palla a Monti.
La serata si chiude con Monti senatore a vita e premier in pectore. Il governo tecnico avrà così anche il profilo istituzionale di una figura «alta e nobile». Monti si prende la patata bollente ma comincia a cucirsi sulla divisa i galloni blasonati di «padre della patria». Basterà?
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