Roma Occhio al Colle. Si apre una settimana caldissima sul fronte della giustizia, si prevedono nuovi bracci di ferro parlamentari, si pronosticano altre risse da osteria tra i pregiati banchi liberty di Montecitorio. Così, tutti adesso guardano verso il Quirinale: dopo le consultazioni, che cosa farà Giorgio Napolitano in caso di ulteriori intemperanze? E soprattutto: cosa dirà il capo dello Stato se il governo apporrà la fiducia sul processo breve? La risposta appare scontata: forzare la mano in questo momento, secondo il presidente, significa buttare benzina sul fuoco, alimentare «il clima di scontro», fare cioè il contrario di quanto solennemente promesso da tutti i capigruppo convocati ufficialmente e ascoltati giovedì e venerdì.
Dunque, si profila un no quirinalizio a una (eventuale) fiducia. Ma forse il capo dello Stato non avrà nemmeno bisogno di esporsi, viste le «forti perplessità» della Lega a ricorrere a questo strumento, soprattutto alla vigilia delle elezioni amministrative. Domani la questione verrà comunque affrontata in un vertice del Pdl. Al di là dei rapporti istituzionali, c’è infatti un grosso problema di tempi. Perché sia utile e utilizzabile, la legge dovrebbe essere approvata entro il 6 aprile. Ma l’agenda della Camera è fittissima e il processo breve è solo al quinto punto dell’ordine del giorno. Prima c’è l’importantissimo voto sul conflitto di attribuzione sul caso Ruby. Questione teoricamente risolvibile in un quarto d’ora, anche se, per affidare la competenza al tribunale dei ministri, occorre la maggioranza degli aventi diritto, 316. E poi ci sono una serie di provvedimenti economici e sui piccoli comuni e la direttiva europea sulla responsabilità civile dei magistrati.
Gli esperti del centrodestra hanno fatto due conti e si sono accorti che, stando così le cose, il processo breve non può tornare in aula prima di venerdì. E non sarà una cosa da poco: è vero che la legge è già stata calendarizzata e che i tempi sono contingentati e ridotti a sedici ore di discussione. Però l’opposizione, che promette un forte ostruzionismo, ha presentato più di 250 emendamenti.
Come fare allora per tagliare i tempi? Innanzitutto si potrebbe far tornare la responsabilità civile in commissione: i termini ci sono, manca infatti il parere della «Bilancio». Oppure, si potrebbe domandare un’inversione dell’ordine del giorno, ma è un’operazione difficile, insicura e che in ogni caso provocherebbe proteste e polemiche. Resta quindi il ricorso alla fiducia, chiedendo magari pure delle sedute notturne. Anche questo però viene considerato un percorso incerto e minato.
Tutto ciò senza dimenticare il problema di partenza, ossia l’atteggiamento del Quirinale. Napolitano è molto preoccupato, oltre che dell’avvitarsi della contrapposizione dei due blocchi, per il rischio di «una paralisi» del Parlamento. Lo ha spiegato direttamente ad Angelino Alfano, con il quale da tempo ha un buon rapporto, solo pochi giorni fa, in un incontro a quattr’occhi. Avete presentato con molta enfasi la riforma generale della giustizia - questo il senso del ragionamento presidenziale -, l’avete definita epocale e effettivamente avete molte ragioni perché è una cosa di cui il Paese ha bisogno. Al tempo stesso avete annunciato pure dei provvedimenti ordinari. Le due strade collidono e c’è il pericolo di alimentare tensioni. Allora dovete procedere con la massima accortezza, cercando il massimo del dialogo possibile con le altre forze politiche.
A quell’invito il Guardasigilli aveva risposto positivamente, assicurando il suo impegno per tenere i toni bassi. Ma poi la scelta di governo di andare avanti con la responsabilità civile dei giudici e il processo breve ha di fatto avvelenato i pozzi di un possibile confronto con l’opposizione sulla grande riforma.
Napolitano non ha gradito.
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