Roma Il presidente di Montecitorio deve dire addio alla camera. Per ora quella con la «c» minuscola, utilizzata per radunare le truppe del suo partito. Il capo di Farefuturo, il degradato Adolfo Urso, negherà infatti a Gianfranco i saloni di palazzo Serlupi Crescenzi, sede della fondazione di cui è il deus ex machina. Fino ad ora i futuristi si sono sempre ritrovati lì, nel palazzo seicentesco di via del Seminario. Non sarà più così e Bocchino & Co. si sono già attivati per cercare un’altra sede, naturalmente in locazione. Il domicilio di Futuro e libertà è stato trovato in un bel palazzo di via Poli 13, a due passi da Fontana di Trevi. Piano alto, circa 300 metri quadrati, appartamento spazioso e luminoso anche se da riadattare secondo le esigenze di un partito politico.
Prezzo dell’affitto: circa 10mila euro al mese. Di acquistare una sede, d’altronde, non se n’è mai parlato visto che il Fli nasce già con le tasche mezze vuote. E dire che di mattoni l’ex An ne aveva a bizzeffe ma l’intero patrimonio immobiliare, valutato circa 350milioni di euro, è stato congelato in attesa che nasca la fondazione di Alleanza nazionale.
In ambienti finiani si esclude che il trasloco sia dovuto a una sorta di ripicca dell’ex colonnello Adolfo Urso, declassato in malo modo nelle ore appena successive al primo congresso di Milano. Non è un mistero, tuttavia, che il nuovo corso tutto bocchiniano del Fli non abbia fatto fare i salti di gioia a Urso e ai tanti moderati che hanno già detto addio al Fli. Urso che, qualche settimana fa, ha indicato la porta al direttore di Ffwebmagazine, Filippo Rossi, considerato megafono dei falchisti. La motivazione ufficiale è stata logistica: non abbiamo abbastanza soldi per tenere in piedi il giornale online. Ma a questa tesi non ci hanno creduto neppure gli «sfrattati» che domenica scorsa hanno persino contestato l’editore, accusandolo di «voler uccidere il periodico».
Insomma, i futuristi continuano a guardarsi in cagnesco un po’ per questioni personali, un po’ per ragioni politiche. Di fatto la strategia del pendolo di Fini, un giorno estremista e un giorno moderato, scontenta a turno falchi e colombe. In queste ore il nuovo corso sembra dare ragione ai finiani più soft: antiberlusconismo meno acceso, altolà a derive sinistrorse, paletti ben precisi sulle alleanze. L’ordine di scuderia è stato fatto proprio perfino da Bocchino che in un’intervista al Corriere della Sera ha fatto un mirabolante dietrofront: nessun no preventivo alla riforma della giustizia, nessuna ambiguità sulle alleanze, nessun appoggio ai referendum dipietristi e fine della fase barricadera. Musica per le orecchie dei due moderati Urso e Ronchi, ipercritici nei confronti di un Fli con la bava alla bocca nei confronti del Cavaliere. Urso, ieri ben più mansueto, ha assicurato: «Non ho mai pensato di lasciare Fli e ho sempre lottato per raddrizzarne la rotta. Penso che ci siamo riusciti». Non solo. Sulla fine dell’antiberlusconismo «sono contento - ha tirato un sospiro di sollievo - che tutto il partito condivida senza più ambiguità queste posizioni».
Più o meno sulla stessa lunghezza d’onda l’ex ministro Andrea Ronchi: «La mia scelta è chiara e netta: costruire un nuovo centrodestra riformatore alternativo sia livello locale che nazionale al centrosinistra». In più, ribadendo che resterà al fianco dell’amico Gianfranco, Ronchi ha aggiunto che il suo obiettivo «è combattere la battaglia referendaria contro la sinistra conservatrice capeggiata da Di Pietro, tutto dentro Fli». Battaglie da combattere «considerando, però, che l’antiberlusconismo non può e non deve essere il dna e il collante di una forza politica che ambisce a costruire il nuovo centrodestra italiano». Hanno vinto le colombe? Oggi sì, domani chissà. Nonostante questo, tuttavia, continuano i rumors di ulteriori addii.
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