COLONNE VOTIVE Le ultime dieci rimaste

Quasi antenne per captare la benevolenza del cielo. Oggi ne restano meno di 10 ma ai tempi di San Carlo Borromeo, come si legge nei documenti della Diocesi, erano più di 50. Le colonne votive di Milano rispecchiarono per oltre 200 anni il carattere di devozione dei milanesi. Sono monumenti di non grande valore artistico, che tuttavia rappresentano uno dei volti più originali della città: la loro proliferazione è legata alle grandi epidemie che funestarono Milano a più riprese. La loro storia comincia durante la pestilenza del 1576-77. La paura del contagio fu così grande da indurre il Borromeo a sprangare le chiese e a far costruire nelle piazze piccoli altari provvisori dove celebrare le funzioni liturgiche che i milanesi potevano seguire dalle finestre di casa. L’iniziativa ebbe un tale successo di popolo che più tardi gli altari, anziché distrutti, vennero sostituiti da colonne di granito dedicate ai vescovi di Milano e addirittura presidiate dalle cosiddette «Compagnie della croce». Solo nel 1786 questi monumenti vennero bollati come inutili ostacoli allo sviluppo urbanistico. Fu l’architetto austriaco Leopold Pollak, (suo, tra l’altro, il progetto della Villa Reale) il responsabile della loro quasi totale scomparsa: una furia devastatrice che arrivò a proporre, fortunatamente inascoltata in quell’occasione, anche la demolizione delle colonne di San Lorenzo, a suo dire opera di «mediocre bellezza e informe avanzo di antichità». I pilastrini votivi invece furono decimati e il materiale ricavato - marmo, granito, croci di ferro, cancelli - fu venduto all’asta per un ricavato di complessive 3mila800 lire dell’epoca. Alcune colonne si salvarono dalle grinfie di Pollak solo perché furono spostate in luoghi meno soggetti a cambiamenti urbanistici. Come quella dedicata a San Carlo, ora in piazza Borromeo ma in origine eretta al Carrobbio. Sulla sua sommità nel 1786 venne posta una statua in bronzo del santo, eseguita dallo scultore Dionigi Bussola, che a detta degli esperti possiede una sua dignità artistica. Se la vide brutta anche il pilastro sormontato da un monumento in granito di Sant’Omobono, protettore di sarti e mercanti, eretto in piazza San Nazaro in Brolo. Anch’esso suscitò la riprovazione di Pollak che così ne riferì: «Un baroccato piedistallo con un’insulsa statua». Si salvò solo per miracolo e da allora se ne sta quasi nascosto dietro una rivendita di giornali, forse per non essere notato... Di pregio artistico è anche la colonna che sorge in piazza Sant’Eufemia «sorretta» da quattro cherubini. Venne edificata nel 1581 da Giovan Battista Crespi, detto il Cerano, che fu anche l’autore del San Carlone di Arona. Era stata dedicata dallo stesso Carlo Borromeo al Redentore e scampò alle grinfie del Pollak solo perché ne fu ridotto l’ingombro con l’eliminazione della mensa dell’altare. Cambiò nome quando lo scultore, Pietro Lasagni, vi aggiunse la statua di Sant’Elena a cui tuttora la colonna è dedicata. Di pregio artistico è infine l’altare votivo in largo Augusto, commissionato nel 1580 e detto del Cristo Redentore.
C’è poi lo strano monumento a San Pietro Martire in piazza Sant’Eustorgio, di fianco alla basilica. Oltre alla suggestione del coltellaccio di ferro infilato nel cranio della statua - il domenicano fu ucciso nel 1252 in un’imboscata perché esponente dell’Inquisizione - la colonna indica il luogo dove San Barnaba avrebbe battezzato i primi credenti di Milano coadiuvato da Anatolone, primo vescovo meneghino. Invece il piedistallo in stile tardo-barocco dedicato a San Lazzaro in piazza Vetra, fu eretto nel luogo in cui era allestita la forca. Non per niente la sua manutenzione, compresa la sostituzione della vecchia croce avvenuta nel 1728, fu curata per secoli dalla «Confraternita dei conforti ai condannati». In stile dorico è la colonna di piazza San Babila sormontata dal leone di pietra, stemma del vecchio quartiere, in origine composta solo da un basamento istoriato da figure di animali mitologici.

Venne completata nel 1633 per volere del conte Carlo Francesco Serbelloni. L’ultimo cippo votivo sopravvissuto a Milano si trova, infine, in piazza De Angeli, verso l’imbocco della via Trivulzio. È dedicato a Santa Maddalena e sopravvive perché sorge a ridosso di un caseggiato.

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