Guidavano la rivolta contro Roma ladrona. Ora guidano la rivolta per mantenere il vitalizio parlamentare. Triste epilogo di 15 parlamentari leghisti: giuravano a Pontida di voler difendere il Nord, invece, evidentemente pensavano soltanto a difendere il loro privilegio. Quello di andare in pensione a 50 anni, per esempio; magari con un assegno d’oro pagato a spese dello Stato, cioè dei contribuenti. Ricordate? Una volta dicevano che non si può sempre mungere. Ora si sono attaccati pure loro alla mammella. In ogni caso, per restare in tema, hanno mandato tutto in vacca.
Dalle stelle alle stalle, il passo è breve: è vero che Bossi dice sempre che bisogna difendere le pensioni, ma l’interpretazione, in questo caso, pare un poco interessata. I 15 fedelissimi del Senatùr, in effetti, difendono a spada tratta, anzi a spadone (di Giussano) tratto, le pensioni. Peccato che, anziché quelle degli italiani, siano soltanto le pensioni loro. Per essere precisi: le loro pensioni parlamentari messe a rischio dall’unica vera (e limitata) riforma che ha davvero toccato la casta dopo tanti mesi di inutili chiacchiere.
Che cosa resta, infatti, di tante promesse di intervento? Le Province resistono al loro posto, gli stipendi di deputati e senatori quando va bene non aumentano, gli enti inutili resistono. I tagli alla politica sono stati una beffa: nella manovra lacrime&sangue di Monti ammontano a meno di 20 milioni di euro su una cifra complessiva di interventi pari a 30 miliardi. Meno dello 0,1 per cento, insomma. Di fatto, il nulla. L’unico vero (e piccolo) cambiamento è appunto la riforma dei vitalizi scattata il 1 gennaio 2012. Che in sostanza si basa su due punti. Primo: i parlamentari non possono più andare in pensione a 50 anni ma devono aspettare i 60; secondo: il sistema di calcolo dell’assegno mensile non è più il convenientissimo retributivo ma il contributivo.
Si badi bene: si tratta di misure davvero all’acqua di rose, sebbene siano stato descritte come raro esempio di severità. Ma dove sarebbe la severità? Nel portare l’età pensionabile a 60 anni, proprio mentre quella degli italiani viene portata a 66? O nell’introdurre un sistema (quello contributivo) che agli italiani si applica dal 1995, cioè da 17 anni? Questo sarebbe il grande rigore? Questo sarebbe «la fine dei privilegi»? Per altro il meccanismo del contributivo viene introdotto «pro quota», cioè in modo assai soft: il retributivo resta valido per tutti gli anni di legislatura precedenti, fino al 31 dicembre 2011. Si capisce: dopo 17 anni di privilegio il risveglio non può mica essere troppo traumatico…
Eppure: anche se le misure sono all’acqua di rosa, loro non ci vogliono stare. O meglio: nun ce vonno sta’, come si dice a Roma, nota provincia lumbarda. Ventisei parlamentari presentano sfacciatamente ricorso contro la presunta mannaia: sette sono del Pdl (sempre in prima fila per distinguersi), tre dell’Ulivo, uno di Rifondazione e ben 15 della Lega, che si aggiudica il premio per il gruppo più numeroso nella speciale maratona parlamentare della vergogna. «I diritti acquisiti non si toccano», è il loro slogan, già sbandierato dall’onorevole Pdl Roberto Rosso, uno dei membri della spudorata compagnia. E quali sarebbero i diritti acquisiti che non si toccano? Semplice, risponde Rosso, «io avevo diritto di andare in pensione a 50 anni». Ma certo: il diritto dev’essere scritto nella Costituzione, forse anche nella carta dei diritti dell’uomo, sicuramente nel giuramento di Pontida: i parlamentari devono andare in pensione a 50 anni, soprattutto mentre decidono di mandare in pensione il resto degli italiani attorno ai 70. E possibilmente devono prendere un assegno molto ricco. Diritto acquisito pure quello.
Chissà cosa ne pensano nelle piazze del Varesotto, chissà cosa ne pensano nelle valli di Bergamo: stupisce infatti che quest’aria da casta abbia viziato un così nutrito drappello di leghisti.
Non dovevano portare nei palazzi della Capitale lo spirito padano? Non dovevano sovvertire il sistema, abolire i privilegi, combattere le camarille, i lussi e i vizi bizantini? Che cos’è successo? Perché sono saltati giù dal barbaro Carroccio per abbandonarsi alle mollezze dei velluti romani? Perché hanno rinunciato al vento del Nord per piegarsi all’ubriacatura da ponentino? E ora come pensano di poter tornare dai loro elettori? Non hanno paura, opponendosi al taglio dei vitalizi, di dover sopportare ben altri e cruenti tagli? In effetti, che delusione: quei 15 leghisti in questi anni hanno marciato bossianamente compatti sotto la bandiera verde. Doveva essere il colore nuovo della Padania. Chi immaginava che per loro era solo il vecchio colore dei soldi.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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