La colpa di Berlusconi per i maestrini di sinistra: non è snob come loro

Dal leader Pd al direttore del Corriere della Sera: attaccano il premier perché ai salotti preferisce stare con la gente. Ma è per questo che gli italiani sono con lui

Nella serata televisiva che forse segnerà il suo maggior successo di pubblico e, obtorto collo, perfino di critica, Silvio Berlusconi a un certo punto ha raccontato di essere arrivato a Napoli un po’ in anticipo per una riunione politica che aveva in serata. «Quando il padre di Noemi mi ha detto che loro erano riuniti per festeggiare la ragazza e che il ristorante era a soli tre minuti dall’aeroporto di Capodichino, io ho verificato e avendo un’ora di tempo sono andato lì», ha continuato il premier, spiegando di essere arrivato con otto auto, tra polizia e scorta: «Sono entrato e subito sono partiti degli applausi. Di fronte a tutta quella gente non ho potuto non fare campagna elettorale e quindi ho iniziato a fare foto con tutti, dai familiari ai gestori del ristorante. Ma io mi chiedo come sia possibile pensare che se fosse stato un incontro piccante ci sarebbero state tutte quelle foto, e soprattutto io sono andato in un posto dove c’erano familiari, amici e i genitori». Interviene allora da Milano Ferruccio de Bortoli, che da neo per la seconda o terza volta direttore del Corriere, si sente intitolato a esprimere le palpitazioni e i turbamenti stiffy dell’alta borghesia lombarda, e fa notare che un capo del governo non dovrebbe andare a feste di nozze e compleanni, insomma che dovrebbe evitare il contatto con il popolino. La risposta è semplice: «Se non andassi ai matrimoni, rinuncerei a essere me stesso. Io parlo con i camerieri, i tassisti, i commessi. Ho un grandissimo rispetto per le persone umili».
È così, piaccia o no, Dio sa quanto gli fa torcere le budella, ai cultori e praticanti dello snobismo politico, imprenditoriale ed intellettuale, delle élite che vivono giustificatamente separati e pensosi, perennemente con la puzza sotto il naso all’approcciarsi del cittadino comune. Quello di Silvio Berlusconi è per loro un modo insultante di esistere, di avere successo e di fare il leader, e avranno anche le loro ragioni, ma è il modo che convince, piace, ispira fiducia a un’ingombrante maggioranza di elettori italiani. Siamo un paese pop, votato a volgarità e ostentazione di immagine? Può darsi, ma il moralismo della scuola steineriana appartiene ancora una volta a pochi, e la pratica sacrosanta di opposizione politica non può nutrirsi di questi predicozzi, né tantomeno di presunte superiorità morali residue, invece di individuare un terreno serio di durissima palestra. Dario Franceschini, leader del partito che non c’è, ed è un vero peccato che un partito democratico non ci sia, è ridicolo quando dichiara che Berlusconi è alla frutta. Berlusconi dice il vero quando, come martedì sera a Porta a porta, replica che «la sinistra e la sua stampa non riescono ad accettare la mia popolarità che è al 75 per cento. Fanno solo attacchi personali fondati su calunnie».
Dare del pop, del populista, del peronista, a un personaggio come il premier è patetico anche perché mai l’uomo si è presentato come diverso da sé e dalla propria natura. Il suo modo di essere può incantare o farlo detestare, ma è lineare e coerente. Il fastidio o l’apprezzamento spesso dipendono dalla libertà di pensiero e dal pregiudizio. Non a caso una delle cose più snob e fesse le ha scritte su un giornale amico, Il Foglio, Stefano Di Michele, certo la persona sbagliata per la bisogna: «Berlusconi ha tutto a favore, tranne se stesso. Si possono avere i miliardi, il potere - e persino i capelli - e mancare lo stesso di misura, di senso dell’opportunità, di gusto». E Veronica? «Veronica (detta “la signora” dal consorte: che finezza!) ha fatto bene due anni fa e ha fatto benissimo adesso». Diversa l’analisi di Peppino Caldarola, uomo di sinistra, che sul Giornale ha scritto di recente: «L’immediatezza e la forza del messaggio sono, se così posso dire, una forma di democrazia. Poi la stampa controllerà, l’opposizione farà il suo lavoro, gli elettori valuteranno, ma afferrare il problema dal lato suo più complicato è una modernizzazione rilevante dell’agire politico. Si procede “per acta” e non per parole d’occasione. Sosteneva Eraclito che il destino dell’uomo è il suo carattere. Nel caso di Berlusconi, il suo carattere è ottimista e fantasioso. Anche un non berlusconiano deve ammetterlo».
Caldarola si riferiva alla decisione lampo di portare la riunione del G8 all’Aquila, nell’Abruzzo colpito dal terremoto. Il presidente del Consiglio ha dimostrato agli abruzzesi che la partecipazione del governo alla tragedia non era solo un fatto episodico e retorico, non era solo propaganda. Ci andrà il mondo da loro, non saranno dimenticati. Se con questa mossa Berlusconi si è tolto di mezzo anche il fastidio dei no global, li voglio vedere a far casino in Abruzzo, tanto di guadagnato.
Il leader è lo stesso che due anni fa a San Babila, in un momento di crisi politica, salì sul predellino di una Mercedes e annunciò la nascita del nuovo partito. Alcuni alleati lo irrisero e lo spacciarono per matto, anche nella sua corte ci fu chi ironizzò, com’è andata si è visto. È andata così da quando in un anno orribile che era il 1993 fece dal niente Forza Italia e salvò il Paese dalla gloriosa macchina da guerra di Occhetto e anche dalla Procura di Milano. Il costo, altissimo, era già stato pagato, ma quel soviet l’abbiamo scampato.
Silvio Berlusconi che piangeva e abbracciava tutti sul serio il giorno dei funerali dei morti del terremoto in Abruzzo mi ha ricordato vividamente un altro grande della politica, Bill Clinton. Tornava a far campagna elettorale in uno Stato sperduto dopo quattro anni e si ricordava delle persone, le stringeva, chiedeva come fosse finita quella storia della pensione o dell’assicurazione.

Perché era così, pop, è sopravvissuto, a furor di popolo contro l’establishment schierato, a uno scandalo privato che avrebbe stroncato qualsiasi altro presidente americano. I popoli sono saggi. Sanno riconoscere un politico che li sceglie da un altro che li sopporta.

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