Fra i verdetti del primo turno di elezioni comunali, inappellabile, c’è l’esclusione dell’Udc dal Consiglio comunale di Milano. Un verdetto politicamente durissimo. Un partito medio, aspirante grande, che aspira a giocare un ruolo di primo piano nel panorama politico nazionale, non può restare fuori dall’assemblea elettiva del principale partito Comune italiano, politicamente parlando. Non può farlo senza compromettere la credibilità del suo progetto politico, e questo i dirigenti dell’Udc sono i primi a saperlo.
Come in tutti i fenomeni politici, le cause di un risultato sono molteplici. Solo il tempo, e magari una robusta analisi dei flussi elettorali, dirà come e perché è accaduto. I numeri parlano chiaro: l’Unione di Centro ha raccolto appena 9.102 voti, pari all’1,88 per cento. Meno di tanti altri, molto meno delle Regionali (14.830 voti pari al 2,9%), delle Europee (24.237 voti, pari al 3,9%), meno delle Comunali del 2006 (14.715 voti, il 2,4%). Dati impietosi che si traducono in un arretramento pesante rispetto a percentuali già magre.
Cosa è successo? Nel partito molti imputano un certo calo alla presenza di una lista alleata-concorrente come quella targata «Nuovo polo». La compagine formata da grillini e Api (i rutelliani) avrebbe preso più voti di quella delle singole sigle, beneficiando di un minuscolo «effetto-Terzo polo» che ha drenato voti proprio all’Udc, sovrastimando finiani e Api che in realtà hanno un po’ ovunque percentuali ancor più modeste.
A questo meccanismo si aggiunge probabilmente un dato ancor più politico. La difficoltà strutturale del Terzo polo al Nord è acuita in Lombardia dal fenomeno-Formigoni, che rastrella i voti cattolici lasciando poco più dele briciole (è successo nel 2010 a Savino Pezzotta).
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