"Com’è amara certe volte la dolcezza"

Ecco il testo inedito che l’attore e scrittore Filippo Timi leggerà questa sera all’inaugurazione della manifestazione romana sul tema della Dolce vita. Caramelle e majorette come madeleine proustiane che cullano la memoria

"Com’è amara certe volte la dolcezza"

Mia nonna Maria abitava a Ramazzano Le Pulci, dopo Bosco, prima di Casa del Diavolo, e ogni domenica pomeriggio dopo essere stati al cimitero a portare i fiori al nonno, io e i miei genitori andavamo a trovare anche la nonna, e ogni domenica pomeriggio mi terrorizzavo.
La nonna non era cattiva, anzi, era pacioccona, più larga che alta, i capelli bianchi che sotto il sole diventavano celesti mi facevano ridere, era punk senza saperlo, e con quell’andatura zoppicante sembrava sempre che da un momento all’altro sarebbe caduta col culo per terra, e ogni volta che mi dava un bacio la barba che c’aveva sul mento mi pizzicava la faccia, ma non le si poteva dire niente, non è educato dire alla nonna, tagliati la barba.

I dolci t’ fann’i denti marci cocchino, mi ripeteva sempre, Guarda...
Che terrore la sua bocca spalancata davanti alla mia faccia.
Una grotta profonda e nera piena di spunzoni scheggiati, e un vento caldo come una sera d’estate le usciva da dentro.
Non voleva che mangiassi i cioccolatini, perché se li voleva pappare tutti lei.

Per anni non sono riuscito a mangiare una caramella, ogni volta che me la offrivano, anche quelle benedette che mi dava Don Marino quando per la pasqua veniva a benedire casa, appena le prendevo in mano, mi appariva davanti agli occhi la bocca marcia di mia nonna.
M’immaginavo lo zucchero che sciogliendosi andava a incrostare lo smalto bianco dei denti, come un acido corrosivo, che li per li è dolce, ti piace, ma devi diffidare di quella dolcezza, perché dietro la maschera del piacere si nasconde sempre la distruzione.

Come Luca, il bambino più bello della mia classe, biondo con gli occhi azzurri... sembrava un angelo, ma sotto sotto era il più bastardo della scuola.

Lo amavo, perdutamente, volevo essere lui, coi capelli lisci, lui, con le ciglia lunghe, e la cattiveria nelle vene, lui...

Il giorno del mio settimo compleanno, si presentò a casa mia con una grossa scatola di Rossane.

Restai senza parole.

Non dici grazie? Mi rimproverò mia mamma.

Ma la mia bocca era paralizzata, scoppiai a piangere scappando a chiudermi in bagno.

Per un mese ho sognato sopra quelle Rossane, le ho guardate fino a impararle a memoria.

La loro carta rossa semitrasparente, con i ghirigori d’oro, mi facevano pensare alle majorette che durante il Settembre Ponteggiano sfilavano per il paese, coi bastoni ruotanti e la gonna con lo struzzo, gli stivali bianchi pieni di bottoncini, le calze a rete, e la banda al seguito.

Com’erano belle le majorette.

Accarezzavo quelle Rossane cercando di immaginarne il gusto... avevo il terrore di prenderne una e scartarla... ma forse... se ne assaggio una... solo una...

Prendo coraggio, afferro una Rossana, chiudo gli occhi... e dritta in bocca.

Non le do neppure il tempo di entrare che subito la mordo. Pezzettini di caramello in frantumi invadono il mio palato mentre le papille gustative s’incendiano, schegge di zucchero s’infilzano dolciastre sulla lingua, come una tempesta improvvisa la dolce crema sinuosa cola e m’impiastriccia di piacere la bocca...

Lo zucchero farà anche male, ma Dio mio, che estasi, adesso capisco mia nonna, che seppure aveva il diabete, seppur avesse la bocca marcia, non avrebbe mai rinunciato a quest’invasione di dolcezza...
La dolcezza nasconde sempre una coda di veleno, ma sfiora ogni sentimento, ogni situazione, ogni peggiore intenzione, ogni vita, ogni squallore, ogni abiezione, ogni frivolezza...

Ed è proprio in certe frivolezze e squallori umani che la dolcezza della vita si esprime al suo meglio.

E la dolcezza, come lo zucchero, è una droga, e fa presto a diventare vizio, come il peccato.

Quant’è amara certe volte la dolcezza.

Ma nessuna caramella sarà mai così dolce, quanto quella proibita.
Fu la lotta e il segreto di quell’amore infantile a rendermi così dolce la mia Rossana, a infiammare il suo banale sapore zuccherino...



Ho fame, questa dolcezza mi ha gia saziato, ho bisogno di un’altra caramella... e il vento mi porta dritto in faccia un puzzo nauseante.

Lo inseguo, e mi ritrovo davanti a un cane con la testa sbrindellata e la mascella a penzoloni.

Ride!

La dolcezza seduce anche la morte?

Sì.

Che puttana.
Penso alla dolcezza della fine, alla promessa di rinascita che ogni fine stringe fra le braccia magre... penso alla fine del mio amore avvenuto troppo tardi, quando già la noia aveva trasformato il sesso in un dovere.

Penso alla fine della mia fanciullezza, quando mi sfinivo per sentimenti inutili, per amori senza ritorno.

Penso alla fine della mia povertà, quando ancora ero pulito e incazzato.

Penso alla fine del mio stupore quando facendo l’amore per la prima volta capii di essere un uomo senza che nessuno mi avesse mai insegnato.

La dolcezza è ovunque, nelle cose banali, e in quelle orribili, ma la mia preferita è quella che si nasconde nelle bugie, nel tradimento, e nell’abbandonarsi impotenti alle proprie miserie.

Senza l’impotenza, la dolcezza non avrebbe faccia.

Non è pietà la dolcezza, non è commiserazione la dolcezza.

La dolcezza è l’atto più devastante che l’essere umano possa osare.

La dolcezza non ti salva dal dolore, ma te lo rende caro, come un figlio cattivo.

È amara a volte la dolcezza.

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