di Antonio Risolo
Correva l'anno 2006. Ricordo lontano, ma non troppo, di uno storico passaggio di testimone al vertice di Ucina-Confindustria Nautica. Si concludeva l'era Paolo Vitelli, già nel gotha della nautica mondiale, e iniziava quella di Anton Francesco Albertoni, giovane numero uno di Veleria San Giorgio. Ma stava per chiudersi anche l'ultimo scorcio di stagioni felici, quando un comparto speciale e fragile come la nautica cresceva ogni anno a doppia cifra. Numeri scolpiti nelle pagine di storia, se non altro per ricordare ai posteri l'incapacità di una classe politica impegnata - per dirla con lo stesso Albertoni - nella sistematica desertificazione di un settore che il mondo considera tuttora uno dei fiori all'occhiello del made in Italy. E, soprattutto, una grande risorsa per il Paese intero, un moltiplicatore di ricchezza e lavoro. Risorsa che, una volta varcati i cancelli dei cantieri, si spalma sulla filiera dell'economia del mare da sempre snobbata dalla politica.
Certo, il virus finanziario americano che ha contagiato il mondo nel secondo trimestre 2008 ha fatto la sua parte, ma completamente diversi sono stati gli antidoti adottati per curare il male. L'Italia, con la solita demagogia tanto al chilo, spesso tragicomica, ha scelto una terapia dai troppi effetti collaterali, quindi sbagliata. O «diversamente sensibile» secondo il politicamente corretto. Perché di eutanasia a colpi di decreti stiamo parlando. E i risultati sono sotto gli occhi di tutti. Non c'è dubbio, infatti, che sulla crisi abbiano pesato le scelte dei governi. Il cosiddetto comparto del lusso, quindi roba per ricchi e pure evasori - leitmotiv sempre in auge e buono solo per alimentare l'odio sociale - è stato sfruttato scientificamente come serbatoio di consensi.
Nel corso degli ultimi anni, Ucina-Confindustria Nautica non ha risparmiato risorse ed energie per combattere questa anomalia tutta italiana. Con successi importanti, che portano la firma di Anton Francesco Albertoni e del suo staff. Cose normali, intendiamoci, ma di eccezionale rilevanza in un Paese che di normale ha davvero ben poco.
E così, il secondo quadriennio del Presidente è stato il più drammatico che la nautica ricordi, una pagina nera scritta a quattro mani: dalla crisi e dalla politica. Una pagina nera culminata - la ciliegina che mancava - con il devastante tsunami scatenato dal professor Mario Monti.
Una «tempesta perfetta», così definita dai media, nel bel mezzo della quale Albertoni - e tutta la squadra Ucina al completo - ha saputo navigare a vista accompagnando in porto la nave ammaccata. Che cosa fare? Albertoni non ha avuto dubbi: rimboccarsi le maniche! Mettendo sul tavolo proposte concrete suggerite dal buon senso: dalla famigerata tassa di stazionamento, poi convertita in tassa di possesso e ridotta in parte dal governo Letta nel giugno 2013, al redditometro dal volto umano.
E ancora: strumenti finanziari semplificati; nuove norme per il noleggio occasionale; il ritiro del ridicolo disegno di legge che intendeva istituire il patentino per i natanti sotto i 40cc e per le derive (anche quelle olimpiche); la modifica del Codice della Nautica; un registro telematico (come per le auto) per identificare immediatamente le imbarcazioni attraverso la targa senza gli spettacolari arrembaggi in mare ai quali, purtroppo, abbiamo assistito spesso.
Caro Presidente, non è poco. Oggi, arrivato ai saluti, non hai strillato ai quattro venti i meriti acquisiti sul campo, i successi e il grande impegno quotidiano che hai dedicato all'Associazione. Ne hanno sofferto quanto basta, azienda e famiglia.
Anche per questi motivi la tua opera al vertice di Confindustria Nautica ha qualcosa di speciale. Hai vissuto momenti di tensione, di entusiasmo e sconforto con serenità, consapevole di aver dato sempre il massimo. Il comparto ti deve un grazie. Forse qualcuno, da dietro le quinte, ti deve anche delle scuse. Siamo tutti convinti che la Nautica abbia ancora bisogno di te.
Fortunatamente la pensione è lontana. Monti e la Fornero pure.
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