Commando palestinese fa strage di coloni: è svolta anti-dialogo

Come raccontare l’attacco bestiale portato ieri a una famiglia del villaggio di Itamar in Samaria, una delle storie di ordinario terrorismo palestinese, uno dei più feroci del mondo, sempre puntato su famiglie, gente inerme, donne, bambini, che i media poi chiamano “coloni”, a giustificazione degli assassini? Eppure ecco per l’ennesima volta l’orrore di quello che è accaduto ieri: una ragazzina di 12 anni partecipa fino a mezzanotte ad un’attività scoutistica con i suoi coetanei nel suo villaggio, Itamar, in Samaria, dove vivono 100 famiglie circa. Torna a casa e bussa alla porta. Nessuno risponde. Quello che vedrà entrando con l’aiuto del vicino è sua madre, suo padre, i suoi tre fratelli di 11 e 3 anni e di due mesi con la gola tagliata, morti. Altri due fratellini di 6 e di 2 anni sono riusciti a fuggire e lei se li tiene abbracciati mentre arrivano inutili ambulanze, inutili squadre di polizia. Il villaggio è difeso da un recinto di rete e non di muratura, e ha già sofferto un’altra famiglia letteralmente fucilata alla schiena da un eroico commando palestinese, ancora una volta una madre, Rachel Shabo, e tre dei suoi bimbi, oltre al responsabile della sicurezza Yossi Twitto ucciso mentre tentava di difenderli.
La rivendicazione viene dalla parte “moderata” dello spettro politico palestinese, ovvero dalle Brigate di Al Aqsa braccio armato di Fatah, fondate da Marwan Barghouti. Si sussurra anche di una riunione tenuta a Khartoum da membri di Hamas e di Fratelli musulmani vari, dove sarebbero stati presenti palestinesi, egiziani, tunisini e anche inglesi: avrebbero coordinato un grande piano di attacco terroristico islamico internazionale capeggiato dall’Iran di cui Israele sarebbe stato il primo obiettivo.
Ma se restiamo allo scenario israelo-palestinese è facile capire il contesto dell’attacco bestiale di Itamar. Da una parte abbiamo una balbettante reazione di Salam Fayyad, primo ministro dell’autorità palestinese contro «ogni forma di violenza», Hamas distribuisce caramelle e festeggia per le strade gli eroi terroristi, Netanyahu accusa la continua campagna d’odio palestinese di essere la matrice della strage. Obama, fra gli altri, condanna.
Ma lo sfondo che spiega l’attacco compiuto l’altra notte è da una parte quello della rivoluzione dei paesi arabi circostanti, dall’altro lo sfondo di odio più classico. La leadership di Abu Mazen e Fayyad è in uno stato di allarme che ha portato i due ad atteggiamenti antagonisti e super intransigenti per conquistare le masse che ne minacciano il potere su internet e in piazza. Chiamano Abu Mazen servo di Israele e degli americani. La loro campagna è stata dunque dominata dal richiamo alla necessità di unità con Hamas. I palestinesi non hanno intenzione di trattare per due Stati per due popoli: per loro la Palestina è una, e comprende anche Israele. Le prove, e qui viene il secondo punto: per fare solo un paio di esempi, il torneo di calcio dell’Autonomia Palestinese è intitolato a Wafa Idris, la prima gloriosa terrorista suicida donna, come tante piazze e strade.

Alla tv di Stato si chiama a «liberare tutta la terra rubata ai palestinesi», il parlamentare “moderato” Barghouty spiega che «Israele è il nemico più abominevole che il mondo abbia conosciuto», e per il ministro della cultura Gerusalemme non è mai stata patria degli ebrei. È una goccia nel mare d’odio che salvaguarda la leadership ed è il mandante degli assassini.

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