Con la decisione di ridurre i tassi in prossimità di «quota zero», la Federal Reserve si è assunta il rischio di trascinare lAmerica in una trappola della liquidità di keynesiana memoria. Fenomeno già sperimentato ai tempi della Grande Depressione e, in anni più recenti, dal Giappone, la liquidity trap scatta quando, nonostante il costo del denaro sostanzialmente appiattito, nessuno è più disposto a investire perché giudica ogni mossa incerta e rischiosa. Preferisce, insomma, restare liquido. A maggior ragione in uno scenario potenzialmente deflazionistico, ovvero di brusca caduta dei prezzi e di aspettative di un ulteriore calo, alimentate peraltro dal calo dellinflazione in novembre all1,1% annuo (-1,7% su base mensile). «I miei soldi - è il ragionamento - valgono oggi più di ieri e meno di domani. Quindi, me li tengo».
Questo atteggiamento è deleterio sia sotto il profilo dei consumi privati, da cui dipendono oltre i due terzi del Pil Usa e già sotto stress a causa della recessione, sia per quanto riguarda gli acquisti di titoli di Stato. Alcuni treasuries americani mostrano già rendimenti vicini allo zero. Con il taglio dei tassi, infatti, la discesa è proseguita. LAmerica sembra scivolare verso lo stesso tipo di situazione vissuta dal Giappone nel 1998, quando il tasso di riferimento era allo 0,5%, i tassi di interesse nominali a breve sotto l1% e i titoli di Stato a sei mesi mostravano un valore negativo. Il rischio è di una fuga degli investitori, in particolare quelli internazionali. Proprio i giapponesi, sono seduti sopra una montagna di titoli statunitensi, per un valore superiore ai 570 miliardi di dollari, dopo essere stati per anni ingolositi dagli alti rendimento garantiti dal Tesoro Usa. La musica, però, è ora cambiata e potrebbe causare un allontanamento degli investitori del Sol levante dai Bot a stelle e strisce. Le conseguenze sarebbero drammatiche: verrebbe a mancare una fonte essenziale per il finanziamento del maxi debito statunitense e al dollaro sarebbe tolto immediatamente ossigeno. Le crescenti possibilità che la Bce non prosegua nel 2009 sulla strada dellallentamento del costo del denaro, hanno del resto già avuto ripercussioni sul fronte valutario questa settimana, con il dollaro che ha bruciato circa il 5% del proprio valore rispetto alleuro.
Dopo lennesima sforbiciata ai tassi, inoltre, in linea teorica la Fed, come ha sottolineato ieri Obama, è ormai a corto di munizioni. Almeno dal punto di vista della politica monetaria. Toccherebbe, insomma, alla mano pubblica provare a riavviare il motore di uneconomia che nel quarto trimestre potrebbe accusare un calo choc del 6% ed è appesantita da un crescente livello di disoccupati. Occorrono insomma politiche di deficit spending basate sugli investimenti e sui tagli fiscali. È quanto il successore di Bush ha detto di voler fare, ma questa politica di interventi federali si poggia forzatamente sulle disponibilità finanziarie garantite proprio dalle emissioni di debito Usa. Reggeranno le prossime emissioni al colpo durto portato da rendimenti ormai al minimo? Linterrogativo resta aperto.
Di sicuro, la Fed si rende ben conto dei rischi di una politica monetaria così allentata.
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