Le impressionanti code di fronte ai negozi che hanno caratterizzato la giornata di ieri possono suscitare varie riflessioni. È ad esempio legittimo sottolineare come la crisi stia inducendo a cercare occasioni e sconti più di quanto non avvenisse in passato. E qualcuno può pure avvertire come questa frenetica corsa a una griffe in saldo sia rappresentativa di una società, la nostra, in cui si è affermata la convinzione che taluni beni siano indispensabili: così che se non siamo in grado di acquistarli a prezzo pieno, le liquidazioni possono evitare frustrazioni altrimenti insopportabili.
È anche possibile che chi qualche settimana fa ha dovuto pagare centinaia di euro oggi avverta con irritazione che altri ottengano gli stessi prodotti a prezzi inferiori. Ma in economia il tempo è una variabile cruciale: quanti vogliono avere "prima" un bene, devono abituarsi a pagarlo di più.
Vale soprattutto la pena di ricordare, però, come queste file d'attesa ci raccontino di una società ancora ingessata: nella quale i periodi durante i quali è possibile praticare sconti sono stabiliti dall'alto, come avviene con le vacanze scolastiche. Il guaio è che se le vendite di fine stagione non saranno affrancate da tale pianificazione, situazioni caotiche e disagevoli come quelle di ieri diverranno sempre più abituali. Per sua natura, il mercato vive di flessibilità e ogni volta che qualcuno s'inserisce ad impedire la libera negoziazione tra domanda e offerta, ciò che ne risulta è una serie di patologie.
Nel passato, i vari governi di diverso orientamento succedutisi alla guida del Paese hanno ampiamente liberalizzato il commercio, ma tanto altro resta da fare. In particolare rimane aperta la questione degli orari (basta una capatina all'estero per constatarlo) e, appunto, quella delle svendite. Ma purtroppo ogni proposta in tal senso suscita reazioni negative delle organizzazioni di categoria: quasi che liberalizzare il commercio significhi "accanirsi sui negozianti", e non già invece restituire libertà d'iniziativa agli imprenditori del settore.
Le code di ieri che hanno tenuto al freddo quanti volevano acquistare una borsa o una camicia ci dicono come alcuni dei "lacci e lacciuoli" di cui parlava Guido Carli già negli anni Settanta non siano scomparsi. Ma ci dovrebbero egualmente far comprendere che non vi è successo economico in assenza di una vera transizione verso il mercato.
Sul piano storico l'esperienza più celebre in tal senso è forse quella della Germania di secondo Novecento, che deve moltissimo del suo formidabile boom al fatto che nel luglio del 1948 - quando ancora vigeva l'amministrazione d'occupazione - furono abrogate nel corso di una notte molte centinaia di disposizioni annonarie e di limitazioni dei prezzi.
Il merito maggiore fu di Ludwig Erhard, un democratico-cristiano di orientamento liberale che fu tra i padri dell'economia sociale di mercato. Influenzato da Wilhelm Roepke e quindi profondamente persuaso che "la libertà di consumo e la libertà di attività economica devono essere sentite dalla coscienza di ogni cittadino come diritti fondamentali intangibili", fu lui a volere l'abolizione di ogni impaccio al commercio, anche contro i consigli e le pressioni degli economisti inviati da Washington e gli stessi orientamenti che prevalevano tra gli intellettuali tedeschi. In quell'occasione, Erhard convinse il saggio generale Lucius Clay, responsabile delle forze alleate, a ignorare gli esperti e a puntare sul libero mercato.
Oggi come allora, non è dunque di sapientoni di cui si ha bisogno, ma di persone ragionevoli.
Il commento Che truffa gli sconti stagionali Meglio liberalizzare
Commenti
Pubblica un commento
Non sono consentiti commenti che contengano termini violenti, discriminatori o che contravvengano alle elementari regole di netiquette. Qui le norme di comportamento per esteso.