Di fronte a proposte come quella di spostare sfilate di moda, o la precedente di un altro circuito di corse automobilistiche, a Roma l'unica risposta è quella del presidente della Provincia Podestà: giù le mani dalla mobilia. Però dopo la mobilitazione difensiva, deve subentrare un esame di coscienza sulle responsabilità dei milanesi nel perdere alcune eccellenze accumulate dalla città. Per esempio sulla moda va detto che la difficoltà che i nostri fantastici stilisti hanno a fare sistema, a coordinarsi - al contrario dei mobilieri che costituiscono esempio mondiale di qualità meneghina - con la Fiera (certo, senza perdere le peculiarità che li fanno grandi) ci indebolisce nei confronti di un'altra capitale dello stile come Parigi. Tra le più recenti "perdite" di Milano, si dovrebbe poi riflettere sui processi determinati dall'integrazione tra City e Piazza Affari. Nella città d'Ambrogio andrebbe speso un po' di pensiero sulla internazionalità della nostra finanza, magari richiamando a questo le grandi banche che a Milano hanno i loro cervelli. Tante altre, poi sono le qualità sprecate: dalla scomparsa del Mifed, fiera del cinema industriale, alla rinuncia per Torino del salone di un libro che ha sotto la Madonnina la capitale. Anche nel campo musicale più di un osservatore ha notato come si sia riconosciuta una certa egemonia anomala a Torino e come un sovrintendente eccezionale come Claudio Lissner andrebbe aiutato a essere più milanese. Che dire della ricerca medica, campo di straordinaria qualità cittadina, che vede però un supporto municipale un po' lento? Tra la decisione di costruire un centro come il Cerba e le licenze attribuite sono passati otto anni. Il Policlinico magnifica sede di ricerca avanzata si muove come un pachiderma. Speriamo che la Città della salute, sede sinergica di centri prestigiosi come il Sacco, il Besta e l'Istituto dei tumori, almeno si faccia velocemente. Ma intanto su tanti fronti Milano ha subito colpi. Negli anni Sessanta era capitale della ricerca storica, filosofica e architettonica. Ora in questi campi è in ritirata. La perdita di primato in campo architettonico è assai grave. La città contava su stelle come Aldo Rossi, Guido Canella, Franco Albini, Vico Magistretti, Piero Bottoni e altri. Ora se si deve citare un nome, viene in mente Cino Zucchi, Mario Bellini, un Mario Botta in qualche moda di scuola milanese. Molte delle difficoltà evidenti nella discussione cittadina (si veda l'Expo, il Pgt e altro) nascono da questo deficit strategico, che la perfetta Triennale di David Rampello non può da sola colmare.
Le ricette non sono semplici, va fatta una faticosa analisi delle cause delle cadute. La principale sta in alcuni processi di radicalizzazione: quelli legati al sessantotto con la politicizzazione delle professioni intellettuali sono sicuramente la base dei guasti peggiori. La curia di Carlo Maria Martini non ha aiutato a superare queste radicalizzazioni. Nel tribunale di Milano si è passati dalla gestione illuminata di Adolfo Beria d'Argentine a un'esasperata politicizzazione. La sinistra riformista non è stata capace di reggere a questi processi. La borghesia, e i luoghi del suo pensarsi, hanno sbandato in varie occasioni.
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