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Il commento Ma come combatteremo i mostri creati dalla scienza?

La scienza arriva sempre dopo. Prima ci sono la letteratura e il cinema che danno vita con la loro immaginazione a ciò che poi, dopo tempo, realizza un altro pensiero, non quello fantasioso delle arti, ma quello concreto e pragmatico delle scienze. I mostri dalle fattezze umane, evocati con fascino e terrore dagli artisti, ce li troveremo fatti in carne e ossa (ovviamente fabbricate in laboratorio) dagli scienziati. È inutile girare intorno al problema, come leggo stanno facendo illuminati teologi (per esempio, Bruno Forte), ovviamente attenti a non ricadere negli errori oscurantisti della Chiesa, quando giudicò la nuova fisica di Galilei.
Una cosa, però, è il modello di ricerca scientifica che non modifica l’integrità dell’essere umano, ma vuole comprendere le leggi dell’universo, altra cosa è l’ingegneria genetica. Mai - ripeto - mai la scienza è penetrata nell’essere umano per modificarne la struttura, per riprodurre, modificando, parti essenziali del suo essere. Questo sta accadendo oggi, questa è la strategia di quella ricerca scientifica che definiamo, genericamente, ingegneria genetica.
E, oggi, i risultati ottenuti da Craig Venter non sono che un nuovo capitolo di questo libro che ha, appunto, come titolo Ingegneria genetica, non un romanzo, affascinante e terrorizzante, ma una concretissima documentazione di realizzazioni scientifiche. Come si concluderà questo libro, ovviamente non lo sappiamo, ma senza troppo azzardare possiamo immaginare che il protagonista, l’uomo, sarà sempre più un arrogante e prepotente signore dell’universo.
Questo strapotere viene giustificato supponendo che la medicina potrà valersi delle ricerche sulle cellule per abbattere molte sue frontiere e curare crudeli malattie genetiche. E l’uso in favore del bene e non del male metterà, davvero, gli scienziati di fronte a decisive responsabilità nel corso del loro procedere nella ricerca. Ma le conquiste della medicina che di per sé dovrebbero giustificare gli studi sulla genetica e sollecitare l’impegno etico dei ricercatori, non risolvono per nulla il problema del confine, del limite entro cui contenere l’ingegneria genetica. Dove questo confine va collocato? Non è affatto certo il limite fra ciò che deve essere inteso come patologia e ciò che può essere considerato un miglioramento estetico dell’essere umano. Qual è il confine fra l’eugenetica e la cura? Come contenere la volontà di potenza della conoscenza scientifica sulla base della responsabilità etica del ricercatore?
La scienza non dispone di un principio regolatore delle proprie ricerche: la sua finalità - che rappresenta la sua stessa essenza - è l’incessante superamento del limite, il continuo superamento del noto verso l’ignoto. Cultura, religione, sensibilità intesa come amore per l’integrità di ciò che chiamiamo vita potrebbero anche definire il confine della scienza, il suo uso per il bene. Ma chi ha l’autorevolezza culturale e morale per esercitare, perfino imporre, un principio di responsabilità che dica: no, questo non si può fare. Nessuno, perché la scienza esiste se c’è la libertà di esercitarla.
Attoniti, i nostri genitori hanno vissuto la potenza distruttiva della bomba atomica. Ma, certo, si diceva: l’energia nucleare può essere adoperata anche a fin di bene. Attonita, la nostra generazione vedrà la produzione di mostri. Ma, certo, si dirà: l’ingegneria genetica curerà molte malattie.
Noi, culturalmente, politicamente, ci dividiamo ancora sulla base di categorie ottocentesche, destra e sinistra.

In questi prossimi anni la nostra società si dividerà, culturalmente, politicamente, soprattutto per stabilire quali limiti porre alla ricerca genetica e se sarà giusto porli, quali principi di responsabilità etica si dovranno invocare di fronte a un nuovo mondo che da anni la letteratura e il cinema raccontano e che oggi la scienza sta rapidamente realizzando.

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