La prescrizione di raccogliere numerose firme di appoggio alle liste elettorali era originariamente nata dalla più che ragionevole preoccupazione che i simboli e i partiti presentati fossero davvero espressione di una reale partecipazione popolare. Si era nel secondo dopoguerra, e si voleva evitare che sullentusiasmo della nuova democrazia le elezioni venissero sommerse da uno tsunami di sigle senza seguito e frutto della buona volontà ma anche della stravaganza di pochi.
L'alto numero di sottoscrittori andava benissimo con un sistema proporzionale puro dove il raggiungimento di un quorum pieno anche in un solo collegio garantiva l'accesso al Parlamento. È assai meno giustificato in un sistema maggioritario o a sbarramento dove le iniziative minori o velleitarie non portano comunque all'elezione di alcun rappresentante.
Nell'attuale macchinoso sistema elettorale italiano la richiesta di un numero davvero elevato di sottoscrittori suona così più come l'eliminazione di possibili concorrenti, come una vera e propria «conventio ad excludendum», che chi gode delle gioie del potere usa per evitare che qualcuno gliene porti via una fetta.
La cosa si inserisce con perfetta coerenza in una serie di misure che testimoniano una davvero esile vocazione al rispetto della democrazia e della volontà popolare. Nel repertorio rientrano anche le soglie di sbarramento piuttosto alte, i listoni di candidati, i listini chiusi, i premi di coalizione. La sbandierata intenzione di arrivare a un sistema bipolare perfetto suona spesso come il desiderio di levarsi di torno tutti quelli che non appartengono a un sempre più ristretto circolo di potere. È sincero Berlusconi quando dice di preferire parlamentari ubbidienti e disciplinati a quelli che mostrano guizzi di genio. Il risultato è però sotto gli occhi di tutti: dibattito di infima qualità, eletti che valgono una cicca. Non serve più neppure essere furbi o svelti per pastrugnare con i soldi dei contribuenti, ci riescono anche gli imbecilli e gli esiti si vedono.
Quella delle firme è davvero una farsa ridicola e vergognosa. Prendiamo le elezioni regionali: per potersi, ad esempio, presentare in Lombardia, una lista deve raccogliere sulla base delle quote provinciali stimate sul numero di abitanti non meno di 20.500 e non più di 29.000 firme. Cioè ci vogliono circa 25.000 persone che esibiscano un documento di identità e firmino, e dei vidimatori che ne accertino la autenticità con timbri e patacche, e certificati elettorali che ne attestino il diritto al voto. Una follia. Se qualcuno avesse davvero voglia di controllare l'autenticità di tutte le firme scoprirebbe che le liste da escludere sono ben più numerose di quelle che ci consegna la cronaca di questi giorni. Si scoprirebbero gli autografi (magari poco autografi) di migliaia di volenterosi cittadini che hanno partecipato a sottoscrizioni per la difesa dell'airone cenerino o contro l'ecopass fatte anni prima.
Non sarebbe assai più saggio e democratico contentarsi di 50 o 100 elettori maggiorenni, con la fedina penale a posto e il modello Unico ben compilato, che si presentano da un notaio, ci mettono nome e faccia e dichiarano una intenzione chiara? È vero: si potrebbe così correre il rischio che la scheda elettorale assuma la consistenza delle pagine gialle, ma basterebbe chiedere una cauzione, 5 o 10mila euro a simbolo per dissuadere i più o per pagare le spese aggiuntive di stampa. Ma si permetterebbe a nuovi gruppi e partiti di farsi avanti e Dio solo sa quanto ce ne sia bisogno.
Invece con questo sistema che i grandi hanno inventato per impedire ai piccoli di nascere e crescere si ingessa la politica, si tengono lontane le persone per bene e si incoraggia a dismisura l'astensione.
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