Ai lettori dei quotidiani devo unavvertenza legata al caso Fini-Tulliani. Visto che i segugi di molte testate sono in ferie o (molto più realisticamente) i loro direttori preferiscono tenerli ben lontani dallo scandalo dellestate, la carretta debbono purtroppo tirarla pochi e valenti cronisti. Quelli del Giornale con in testa leccellente, parlo per conoscenza diretta, Gian Marco Chiocci sono in prima linea. Dietro di loro, è bene che si sappia, cè una pletora di mezze cartucce al lavoro nelle redazioni di giornali e tv che sta alla finestra con la sola speranza che Chiocci & C. compiano prima o poi un passo falso.
Gran parte dei giornalisti è fatta così: rosica, come si dice a Roma. Perché, siccome non sono capaci di tenere il passo dei colleghi più svelti e più informati, attendono al varco lerrore. E quando arriva (perché tanto lerrore, fosse anche sotto forma di un dettaglio, fatalmente arriva) eccoli lì a puntare lindice e a buttarla in vacca: «Vedete?» scrivono e dicono «avevamo ragione noi: questa storia è tutta una bufala, montata ad arte per screditare Fini e fare un favore a Berlusconi». Fecero così anche durante Affittopoli. Il Giornale (dirigeva Vittorio Feltri e a fare danni cera già Chiocci, ma di 15 anni più giovane, con una truppa di meravigliosi cronisti) nel silenzio più ostinato della stampa ogni giorno tirava fuori inquilini di alto lignaggio che pagavano affitti irrisori nelle case degli enti pubblici. Un lavoro certosino e straordinario. Poi arrivò linfortunio. Un caso di omonimia scatenò linferno. Giornali e tv si svegliarono allora e solo allora e, puntuali come sempre, buttarono la croce sul Giornale e sui suoi «manganellatori».
Era un dettaglio, uno svarione, comunque uno sbaglio. Commesso in buona fede da un cronista di rara bravura, Gianni Pennacchi, che purtroppo non cè più. Nel caso di Fini sta succedendo la stessa cosa. Per riempire il silenzio che lui e i Tulliani si sono imposti sulla faccenda, il quotidiano diretto da Feltri cerca giustamente ogni elemento utile per fare uscire allo scoperto la «famiglia». Nel suo piccolo è quello che sta facendo anche Panorama. Si fanno tutte le verifiche possibili, ma lerrore è in agguato. Soprattutto perché la controparte (Fini-Tulliani) non risponde alle domande, limitandosi ad annunciare querele o a indignarsi per interposta persona. Capita dunque che Il Giornale possa inciampare, con altri quotidiani, su una vicenda di mobili acquistati a Roma dalla famiglia Tulliani ma non spediti nella casa a Monte-Carlo affittata al rampante Giancarlo nonostante un testimone ricordi che si parlava di una spedizione nel Principato.
I giornalucoli alzano subito il ditino accusatorio e sentenziano. Sempre per interposta persona, il presidente della Camera fa ironia. Embé, dico invece io: che cambia? Nulla, appunto. Le domande, ancora senza risposta, sono tutte lì, in piedi: dalla genesi della vendita agli effettivi compratori e fino alla «incredibile coincidenza» dellaffitto al signor Cognato. E sono domande che esigono immediate e chiare spiegazioni non certo sotto forma di pensierini come ha fatto Fini. Perché larroganza del silenzio, prima o poi, sarà sommersa dallurlo della verità. Che si farà carico anche di aprire per bene le orecchie dei giornalisti che si ostinano a non voler sentire. Presidente Fini, abbia un sussulto di orgoglio.
*direttore di Panorama
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