È da tempo che lattenzione di regolatori e politici viene rivolta alle remunerazioni dei manager delle società quotate. E questo non riguarda solo il nostro Paese, ma anche altri contesti. Negli Stati Uniti, ad esempio, lamministrazione Obama ha fissato a cinquecentomila dollari la retribuzione massima per gli amministratori di società che hanno beneficiato di contributi pubblici per fronteggiare la crisi. Sempre Obama, nelle ultime settimane, forse alla ricerca di un consenso perduto, sta incalzando i manager delle banche statunitensi per rivedere i loro stipendi e i loro bonus tornati, nonostante la crisi, molto rapidamente ai livelli di una volta.
Il tema della retribuzione dei manager, pertanto, non è solo un tema di casa nostra ma è una questione internazionale, che, dopo il terremoto finanziario dal quale stiamo ancora cercando di riprenderci, è diventata ancora più critica. La stessa Unione Europea ha pubblicato una raccomandazione (2009/385/CE) che mira a fornire indicazioni sulla disciplina del regime di remunerazione degli amministratori delle società quotate.
Immaginare, però, che si potesse arrivare a fissare un tetto agli stipendi, sulla base delle remunerazioni dei parlamentari, ha un sapore un po strano e anche un po troppo demagogico. E perché poi, volendo fissare un tetto, sono stati presi ad esempio gli stipendi dei parlamentari e non quelli dei medici, dei dipendenti della pubblica amministrazione o, magari, dei consulenti?
È indubbio che il tema è centrale. Joseph Stiglitz nel recentissimo libro «Freefall», identifica nel miraggio dei soldi facili e nei ricchissimi bonus dei manager una delle principali cause della crisi dei mercati e non si può che dargli ragione. Ma ricorrere a soluzioni come quelle finora approvate in Italia non porterà da nessuna parte e vediamo perché. La remunerazione di un amministratore deve essere commisurata sempre in relazione a un certo numero di fattori: a) il contributo che egli dà in tema di competenze ed esperienza, b) la responsabilità di cui si fa carico, c) i rischi che assume per gestire unazienda complessa, d) i rischi che fa correre allazienda che gestisce e, in ultimo ma fondamentale, e) i risultati che è in grado di generare e per quanto tempo. Pertanto non si può dire a priori che un amministratore prende molto o poco. La valutazione va fatta in relazione a un contesto e in relazione ai risultati, considerati anche nella loro durabilità nel medio e lungo periodo.
Non si può intervenire per legge. Per legge si può intervenire rispetto ai criteri ma non certamente rispetto al quantum. Leffetto di questa politica, se protratta nel tempo, può essere negativo, almeno su due fronti. Innanzitutto molte società potrebbero boicottare il mercato italiano e decidere la quotazione allestero. Peraltro, con una Borsa non più di proprietà italiana, come lo è la nostra da tempo, questo potrebbe essere un rischio tuttaltro che remoto. Inoltre, la presenza di tetti alle remunerazioni potrebbe paradossalmente allontanare competenze manageriali di qualità verso altre realtà internazionali o, chissà, verso altre professioni.
La direzione da prendere è unaltra. In linea con quanto raccomandato dallUnione Europea, indicazione peraltro già presente da tempo come suggerimento nel Codice Preda, bisogna lavorare sulla trasparenza e sulla possibilità di avere informazioni complete e dettagliate sulle remunerazioni dei manager. Il mercato ha manifestato segnali di profonda debolezza negli ultimi tre anni, dovuti a comportamenti opportunistici, a scarsi controlli e a limitata trasparenza.
Recuperiamo un approccio positivo al funzionamento dei mercati. Lavoriamo sui controlli e sulla trasparenza. Che gli amministratori siano pagati e che si sappia, con estrema puntualità e chiarezza, come e quanto lo sono.
* Ordinario di Finanza, Politecnico di Milano
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