di Giancarlo Loquenzi
Il dopo-partita elettorale, nelle piazze, sui giornali e persino in Parlamento, ha avuto un solo grido: «Vattene». Scandito allunisono e indirizzato a Silvio Berlusconi da tutti quelli che fino al giorno prima lamentavano i toni accesi della campagna elettorale. «Vattene»: questo sarebbe, secondo il Fatto Quotidiano, Europa, lUnità, il Manifesto, eppoi Bersani, Vendola e infine Franceschini, il vero risultato delle elezioni amministrative che hanno interessato 9 province 1.177 comuni italiani.
È la democrazia gladiatoria quella che tutti costoro sembrano onorare con questa richiesta di suicidio politico. Un sistema dove non ci sono sfumature, dove non contano i livelli di governo e di rappresentanza, ma tutto si riduce a un verdetto di vita o di morte. Poco importa se la delega con cui i cittadini hanno ceduto parte della loro sovranità fosse destinata al governo delle circoscrizioni, dei comuni o delle provincie. I vincitori, quelli veri e quelli falsi tutti assieme, se ne sono impossessati per fini politici abusivi in spregio dei loro stessi elettori.
Nei ballottaggi dello scorso weekend erano chiamati alle urne 5 milioni e mezzo di elettori, di cui solo il 60 per cento si è presentato a votare, diciamo 3 milioni. Un parte di questi ha fatto vincere formazioni politiche che sono allopposizione nel governo nazionale, eppure questo è bastato per accampare la pretesa delle dimissioni del premier.
La stampa estera in questo Paese è tenuta in gran conto specie a sinistra dove viene usata come monito contro un Paese sempre meritevole di lezioni di bon ton istituzionale. Eppure sui quotidiani francesi, spagnoli, tedeschi, americani, non cera un solo «vattene» allindirizzo di Sarkozy, Zapatero, Merkel, Obama, tutte vittime di turni elettorali - amministrativi o di mezzo termine - catastrofici.
Nei «Paesi normali» il governo nazionale viene tenuto al riparo dagli scossoni elettorali che non lo chiamano in causa, perché ha responsabilità universali verso tutti i suoi cittadini. Lo ha spiegato bene proprio il presidente del Consiglio parlando dalla Romania e dicendo finalmente una cosa berlusconiana: «Non ho tempo per preparare il mio funerale».
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