Uno dei luoghi comuni peggiori, in cui cade spesso chi ascolta la musica come chi legge letteratura, è pensare che i cantautori siano tutti un po poeti. È una stronzata. Che chi conosce davvero la musica così come chi conosce bene la poesia non direbbe mai. Da una parte ci sono parole, a volte mediocri a volte bellissime, che colgono un momento e uno stato danimo. E si chiamano canzoni. Dallaltra ci sono versi, a volte banali e a volte sublimi, che hanno la pretesa di esprimere - con una attenzione estrema allaspetto formale - unesperienza o unidea che abbia un valore universale. E si chiama poesia. Confondere i due piani è impossibile, e stupido.
Ora, Tiziano Ferro, va da sé, non è un poeta. O per lo meno non lo è più di quanto non lo sia un verseggiatore della domenica che stampa plaquette in proprio da regalare agli amici. Ma - crediamo - Tiziano Ferro, con questo suo ultimo album, si dimostra un grandissimo «paroliere», uno che sa «giocare» con le idee e la lingua. Uno che sa che la musica - come la poesia, come larte - è prima di tutto forma.
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