Deve averlo capito in queste ore, Carlo Ancelotti, rassegnandosi finalmente al destino che l'ha voluto fuori da Milanello e sulla rotta londinese del Chelsea. Per qualche giorno, nel periodo tempestoso del "dentro o fuori" recitato con abilità, ha covato il sincero sentimento della delusione. Si sentiva di casa, al Milan. E in grado di governare anche la virata berlusconiana verso l'austerity assoluta. Persino la perdita secca di Kakà, che pure gli era stata notificata in anticipo, per coprire il "buco" di bilancio, non gli sarebbe sembrata una grave amputazione. Colpa dell'affetto nutrito e forse dello scarso spirito avventuriero che lo ha sempre portato, a fatica, verso i cambiamenti, da calciatore come da allenatore. Patì come una ferita l'esonero alla Juve, per esempio, guadagnandosi nella carriera rossonera il più autorevole e clamoroso dei riscatti.
In queste ore, prima d'incrociare il vecchio, caro Milan, «per il quale resterò tifoso» la sua garanzia sincera, alla guida del Chelsea che è già una squadra, scolpita nei ruoli e anche nei rinforzi, che aspetta Pirlo (arriverà, certo che arriverà) e magari un altro Ribery, Carlo Ancelotti ha finalmente cambiato opinione. E verificando i primi mal di testa di Leonardo, alle prese con una squadra incompleta e senza la garanzia di rinforzi sostanziosi, deve aver capito finalmente che ha lasciato Milanello al momento giusto. Altro che risentimento, è stata la sua fortuna.
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