La provincia metropolitica di Milano, che raggruppava tutte le diocesi dell'Italia settentrionale, nel IV secolo, aveva assunto con Ambrogio il ruolo di vera e propria «Chiesa nazionale» con caratteri distintivi propri, alcuni dei quali sono stati difesi a lungo.
Col tempo molte cose sono cambiate ma alcuni degli elementi di fondo sono rimasti in tutta l'area culturale della Lombardia storica.
Il primo e più importante è lo strettissimo legame fra la Chiesa e il popolo, la partecipazione anche attiva dei sacerdoti agli interessi e alle passioni della gente.
Basta ricordare Ariberto d'Intimiano o il ruolo trainante della Chiesa locale ai tempi delle Leghe Lombarde, la presenza dei sacerdoti fra il popolo delle Cinque Giornate o don Davide Albertario che nel 1898 è andato in prigione per essere stato accanto alla sua comunità. Si potrebbero riempire pagine di esempi: non c'è stato momento felice o tragico in cui i sacerdoti non siano stati in mezzo alla gente.
C'è un altro elemento di specialità. La Padania è una delle rarissime porzioni di Europa meridionale che non abbia mai subito durature occupazioni musulmane. Saraceni e turchi sono arrivati in Provenza e a lambire il Friuli ma non hanno mai avuto basi stabili: solo incursioni rapide o presenze marginali, come le milizie islamiche di Federico II e di Napoleone III in occasioni infelici della nostra storia.
Eppure questa terra, la vecchia provincia ambrosiana, ha contribuito come poche altre a combattere per la difesa dell'Europa cristiana: dalle crociate fino alle lotte delle due Serenissime Repubbliche. Ha dato combattenti come il Principe Eugenio e Raimondo Montecuccoli, grandi uomini di Chiesa come Marco d'Aviano e Pio V. Anche a Lepanto il 70% delle navi erano veneziane, genovesi e piemontesi. È una terra che da sempre interpreta il cristianesimo come partecipazione comunitaria, come uno stretto legame fra popolo e Chiesa. Due terzi dei Pontefici dell'ultimo secolo vengono da qui.
In questi giorni c'è un parroco lombardo che, con linguaggio da sergente di fureria, insulta la propria comunità, le sue scelte politiche e anche i morti, mostrando odio ideologico, maleducazione, disordine neuronale, ma soprattutto il più totale distacco dalla gente. Purtroppo non è il solo.
L'arcivescovo Tettamanzi è persona colta e certo non parla come un carrettiere, né assume le posizioni odiose del suo iracondo subalterno, però non perde occasione di intenerirsi più ai problemi degli islamici che a quelli dei suoi fedeli. Ha preso un po' di distanza dalle intemperanze e dai deliri del mullah Giorgio De Capitani, ma non basta. C'è una inquietante continuità di cedimenti e di stranezze che dura da troppo tempo, che ha allontanato dalle loro pecorelle troppi pastori in preda a licantropia ideologica.
Si era cominciato con la restituzione del vessillo di Lepanto ai turchi: forse un gesto di distensione che ha però assunto l'aria di una resa agli occhi di chi - come i musulmani - da valore ai simboli.
Adesso è tutta una sbrodolata di buonismo nei confronti dell'Islam e di severità contro i cristiani, di tolleranza estrema per le vigliaccate altrui, anche le più truculente, e di durezza inquisitoria contro le più piccole reazioni da parte cristiana.
Sarebbe bello che la Chiesa ambrosiana torni a essere parte centrale della comunità e a difendere la nostra gente, i suoi bisogni, la sua identità contro una invasione che ha solo assunto aspetti diversi ma che è quella di sempre. La Diocesi di Ambrogio e di Carlo ha bisogno di sacerdoti, non di imam.
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