Il commento Quando la malavita ha nel mirino la zona grigia

Il giudice Giuseppe Gennari lo scrive chiaramente, in un passaggio dell’ordinanza che ieri mattina manda in carcere trentacinque persone per associazione mafiosa, estorsioni ed altri reati: da quando la Cassazione ha ridimensionato (mandando assolto l’ex ministro Calogero Mannino) l’abito del reato di «concorso esterno in associazione mafiosa», è diventato difficile punire in qualche modo quei personaggi che si trovano nella «zona grigia», al confine tra crimine organizzato e società civile: e che, almeno al Nord, sono indispensabili perché i tentacoli dei clan si possano allungare nella vita e negli affari.
L’allargamento di questa «zona grigia», come emerge dall’indagine dei Ros dei carabinieri e del Gico della Finanza, è uno degli elementi più inquietanti dell’ordinanza eseguita ieri: che però al suo interno ha anche un elemento che può indurre a valutare con maggiore serenità il grado di penetrazione del crimine mafioso nella realtà milanese. Se si analizzano uno per uno i reati contestati a Pepè Flachi e ai suoi uomini, si scopre che nella grande maggioranza dei casi hanno per vittime personaggi che, in un passato più o meno recente, hanno anch’essi scelto di valicare le soglie della legalità. È stata questa scelta, di fatto, ad esporli alle pretese dei clan. Non vuol dire che le persone per bene, a Milano siano al riparo dai taglieggiamenti: ma, almeno per ora, il bersaglio preferito il racket lo cerca nelle sue immediate vicinanze.
Lo ha spiegato bene Ilda Boccassini, ieri mattina: ci sono imprenditori che per recuperare crediti verso altre aziende, invece di rivolgersi al tribunale si rivolgevano alla ’ndrangheta, e anziché rivedere i loro soldi diventavano essi stessi vittime delle pretese delle cosche. In qualche modo, insomma, si può dire che se l’erano andati a cercare.
E anche i «paninari», i gestori dei furgoni della salamella notturna taglieggiati dalla banda, quasi sempre provenivano anch’essi dal mondo dell’illegalità: pregiudicato per sfruttamento della prostituzione è T.L., il «paninaro» che alla fine, tra mille cautele, accetta di denunciare il racket; pregiudicato per droga e ricettazione è G.B., i cui furgoni vennero sfrattati senza complimenti dalla zona di Città Studi. E storie poco pulite si intravvedono anche dietro i gestori di molti locali notturni costretti a subire le imposizioni della security targata Flachi.
Una sorta di microcosmo malavitoso, insomma, dove i conti del dare e dell’avere si risolvono rudemente: «Con cinque litri di benzina ti faccio vedere io come si vendono i panini», dice uno degli intercettati. La Procura si guarda bene dal ritenere che la società civile sia immune dalle pretese del crimine organizzato.

Ma è evidente che qui sta la differenza, che ancora sopravvive, tra Milano e i territori meridionali, quelli dell’Antistato: qui gli steccati, anche se con fatica, resistono. Esiste, ed è sempre più ampia, la zona grigia di chi scende a patti. Ma è ancora possibile dire di no.

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