L'accordo tra India e Stati Uniti firmato a Delhi dal segretario di Stato Hillary Clinton apre definitivamente le porte dell'immenso mercato della difesa indiano alle industrie statunitensi. Già, a dispetto della crisi economica, l'India ha attribuito alla sicurezza la massima priorità.
Il bilancio della difesa 2009-2010 registra addirittura un incremento del 34% sullo stanziamento 2008-2009 e supera l'equivalente di 29 miliardi di dollari. La spesa per la difesa rappresenterà il 14% del bilancio dello stato e il 2% del Pil. L'India spenderà per l'acquisizione di nuovi sistemi d'arma circa 11,5 miliardi di dollari in quest'anno fiscale e tra i 50 e i 55 miliardi in un quinquennio.
È stato anche deciso un allentamento del limite agli investimenti stranieri in industrie strategiche, ora fermo al 26%, cosa che permetterà la creazione di joint ventures ed il trasferimento di tecnologie. In questo modo l'India potrà anche soddisfare l'obiettivo della crescita industriale e tecnologica militare. Il traguardo da raggiungere nel giro di 10 anni, al solito troppo ambizioso, è una autarchia del 70%, rispetto al 30% attuale. Peraltro l'industria militare indiana, sotto controllo statale è celebre per i suoi... insuccessi. Vorrebbe fare tutto da sola. Aerei, elicotteri, elettronica, missili, carri armati, navi. In realtà i progetti si trascinano per lustri, assorbono enormi quantità di soldi e producono... disastri. Alla fine i militari sono costretti a comprare all'estero e il coinvolgimento locale si limita all'assemblaggio o alla produzione su licenza. Tuttavia tra le potenze emergenti l'India è quella con le migliori capacità tecnologiche. E lo sviluppo di industrie private della difesa dovrebbe stimolare una maggiore efficienza. Che tuttavia richiede una riforma del sistema di acquisizione, lentissimo, farraginoso e piagato da fenomeni endemici di corruzione.
Certo è che, a dispetto della copertura politica garantita dai rapporti strategici bilaterali, i colossi industriali militari statunitensi dovranno competere duramente per conquistare una fetta della «torta» indiana. Perché i tradizionali fornitori, russi e francesi, ma anche israeliani e inglesi, difendono le proprie quote, mentre altri Paesi cercano di farsi largo. Per l'Italia sono ben piazzate Finmeccanica e Fincantieri.
L'India vuole ammodernare il suo intero arsenale, rimpiazzando i vecchi sistemi di origine russa con prodotti ad alta tecnologia, anche per bilanciare la crescita militare cinese, più che quella pakistana. Le opportunità di business quindi non mancano. Ma per avere successo oltre alla eccellenza dei prodotti occorre un impegno coordinato dei governi: basta vedere cosa fa la Francia, che oltre ai prodotti militari vende all'India anche reattori nucleari.
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