Il commento Ma con Roma si rischia: resterà solo un Gp

(...) Facendo affermazioni del genere mostrano di non capire che il problema non è nominale. Non si tratta, cioè, di stabilire quale delle due corse di F1 avrà il privilegio di chiamarsi Gran Premio d’Italia, ma quale sopravviverà. Giacché - come dimostrano diverse esperienze internazionali, a cominciare proprio dal Gp di San Marino - la sopravvivenza di due corse di Formula 1 nello stesso Paese è impossibile. Nel caso di Roma, poi, l’epilogo è scritto nell’ordine delle cose: gli sponsor, principali finanziatori della corsa, non possono certo raddoppiare gli investimenti, soprattutto con l’aria che tira. Forse qualcuno se ne aggiungerà ma la maggior parte dovrà scegliere. E cosa sceglierà? Certamente Roma, per la sua maggiore attrattività internazionale e mediatica e per il suo enorme potenziale turistico: tutti aspetti a cui lo sponsor per sua interessata natura è particolarmente sensibile. Ma Roma conta e finirà per prevalere anche, anzi soprattutto per il suo peso politico, come d’altra parte accade per ogni richiesta romana, accolta sempre con un’attenzione particolare. E come dimostra anche la facilità con cui la capitale ha di farsi il suo Gp da organismi internazionali come la Federazione internazionale dell’automobile, presieduta da Jean Tods, ex Ferrari e uomo del romano Montezemolo, e dall’Organizzazione della F1, la Fom del famigerato Bernie Ecclestone. Ma anche a livello nazionale nessuno ha avuto da eccepire. Accadrà dunque che in pochi anni le attenzioni degli sponsor e i loro soldi si sposteranno dal parco di Monza all’Eur. Francamente non giurerei sulla possibilità che nel capoluogo brianzolo si corra il Gran Premio d’Italia nel 2015 quando alcuni milioni di visitatori saranno o dovrebbero essere a Milano per l’Expo. Monza, dunque si rassegni, è condannata.
Si poteva evitare questa sciagura? Sì, si poteva. Facendo meno proclami rassicuranti e propagandistici e dandosi più daffare con una intensa attività di lobby, di pressione politica, mediatica e di relazione. Così come ha fatto Roma per ottenere quello che voleva. Ma si sa, uno dei punti deboli dei ceti dirigenti milanesi e lombardi è proprio la scarsa attitudine alla lobby, soprattutto quando non si tratta solo di soldi. Mai nessuno osa contrastare efficacemente una certa sorniona prepotenza centralizzatrice di Roma. Che così, ad esempio, inguaia Venezia duplicando il Festival del cinema, e ora fa di tutto, ormai è cosa nota, per scippare a Milano anche la moda. Tutto questo, naturalmente, godendo anche dei privilegi normativi e finanziari concessi dallo Stato.

Con l’assenso della Lega, sia chiaro. Perciò non è credibile Bossi quando reclama dei ministeri per il Nord: basti pensare che in 30 anni non siamo riusciti a portare a Milano, sua sede naturale, la Consob, la commissione della Borsa.

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