Il commento È una Scala in cerca d’autore

Avevano paura di ricevere fischi, alla Scala, e anche per questo hanno sostituito il tenore Filianoti con il collega di riserva. Così hanno ricevuto fischi dai tifosi di Filianoti, che hanno aspettato al varco il direttore Daniele Gatti tanto presto da far capire che il giudizio sull’esecuzione non aveva attinenza con la loro privata guerra; e con fischi che più che il normale dispetto sonoro del loggionista contrariato ricordavano i gigahertz del racconto gustosissimo che Topolino ha dedicato a quest’inaugurazione, ai danni del direttore Felino Felynis e di tutta la Scala. Il guaio è che la sete di eventi su cui litigare, così più diffusa che non l’attesa di bellissimi avvenimenti artistici, ingigantisce i gesti ostili e suggerisce l’idea d’un teatro diviso tra fazioni.
Il teatro, ogni teatro, è vulnerabile per natura: concede necessariamente libertà piena a chi ospita, e ne affronta le conseguenze. Nessuno scandalo, dunque, è quattro secoli che nell’opera va così.
Però la scelta d’abbandonare un artista dopo l’acclamata anteprima è stata un altro sintomo, aggiunto a tanti, di una certa confusione comportamentale che regna nella nostra grande Scala. Il sovrintendente Lissner ha i suoi meriti d’organizzatore e ha ripristinato dopo tanti anni un clima fervido felice; ma non risulta avere competenza musicale e formazione specifica operistica. Bravo a intessere scambi, a dar fiducia agli artisti fino all’eccesso nelle scelte giovanili e alternative al grande professionismo, non può garantire però quel controllo del teatro che riguarda la precisa e minuta attività artistica e ha bisogno di chi abbia tanta personalità, esperienza pratica, conoscenza tecnica, voglia di costruire, sapienza di dove e come correggere, chi e quando accostare e invitare e perché. Tutto questo nell’orgoglio di un’identità che deve fare della Scala non un punto di forza dei circuiti più in vetrina, ma il punto di riferimento del grande repertorio italiano.
Occorrono un direttore artistico e uno musicale, o anche un direttore artistico e musicale: che sia in continua ricerca, che dia tempo e lavoro costante a contatto con la sovrintendenza, e che ristabilisca gerarchie e logica distributiva. Altrimenti si finisce per chiedere pareri ad artisti prestigiosi ma frettolosi e lontani, e per ascoltare le voci vicine, in un organico quale ha la Scala, dove nella maggior parte dei curricula è più facile leggere incompetenze appassionate o formazioni manageriali che ricevere l'impressione d’una grande équipe in grado di affrontare i problemi concreti dell’esecuzione operistica, prendendosene la scomoda e qualificante responsabilità.
Non che sia facile. Nomi di alto livello, pensati qui, possono apparire carenti o inadatti. Alcuni sono poi impegnati: il grande anziano ed entusiasmante Yuri Temirkanov è già al Regio di Parma, il giovane e fortemente positivo Antonio Pappano è al Covent Garden e a Santa Cecilia. Il discorso su altri candidati visibilmente in lizza è troppo complesso e sottile per affrontarlo ora e qui.

Ma non bastano più i gesti significativi ma astratti, come conferire all’occupatissimo Daniel Barenboim il titolo di «maestro scaligero», anche se la cosa in sé mi piace, tanto che, scrivendo io sul Giornale, cercherò di farmi dare dal Direttore il titolo di «Maestro giornalistico».

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