Il commento /  Se dopo 16 anni la storia si ripete

di Paolo Liguori

Un Paese con il tempo congelato. Meglio, pietrificato. Dalla fine del 1994 al gennaio 2011, sedici anni pieni, un mucchio di tempo, una montagna di novità, scoperte, invenzioni. Era un altro mondo, sedici anni fa. David Cameron, premier inglese conservatore, fresco di laurea muoveva i primi passi. Barack Obama, giovane insegnante, non era ancora al Senato. Solo in Italia sembra di essere sempre fermi al punto di partenza. Anzi, nell’incubo giustizialista, dove le cose non passano mai e i personaggi sembrano quelli delle repliche infinite. Qui abbiamo sempre alla Procura di Milano Ilda Boccassini, che per restare la rossa dovrà spendere una fortuna, perché in testa il tempo passa per forza.
22 novembre 1994, Silvio Berlusconi, presidente del Consiglio da meno di un anno presiede a Napoli un vertice mondiale contro la criminalità. Riceve un avviso di garanzia a mezzo stampa, una bomba senza precedenti. Ricordate? Il Corriere della Sera esce in edicola, anticipando l’avviso che Berlusconi riceve qualche ora dopo. Oggi, sedici anni dopo, stessa scena: l’unica differenza è che l’annuncio, la mattina del 14 gennaio, viaggia sul Corriere.it. Allora si discusse a lungo delle modalità: la procura di Milano, si disse, scelse il Corriere per dare peso e ufficialità all’agguato. Scartò Repubblica perché già troppo schierata. Il direttore Paolo Mieli chiamò al Quirinale Scalfaro. Il presidente era già informato, in anticipo, della notizia. Diede conferma e divenne regista del cambio di inquilino a Palazzo Chigi, senza passare per le urne.
E oggi? Una replica, con attori diversi. L’avviso arriva il giorno dopo la sentenza della Corte Costituzionale, che subordina il legittimo impedimento al parere del giudice naturale. Cioè, in questo caso, della Procura di Milano. Sedici anni dopo si potrebbe pensare che nella Procura qualcosa è cambiato. Errore. Il procuratore Borrelli è in pensione. Di Pietro è entrato in politica: è identico ad allora, ma ha un partito che si comporta come l’ufficio di una Procura. Colombo ha lasciato la magistratura, Davigo è diventato presidente di Cassazione. Ma la Boccassini è rimasta ferma come un paracarro. Avrebbe potuto cambiare ufficio, ma non ha voluto. Da sedici anni ha un pensiero fisso: incastrare Berlusconi. Se ci riesce, pensa, farà la storia. Oggi come procuratore aggiunto avrebbe la delega per la criminalità organizzata, ma non si scoraggia. Ottiene da Bruti Liberati la delega a occuparsi di Berlusconi, la sua fissazione. In un Paese normale si eviterebbe di lanciare in un’inchiesta del genere un magistrato che ha coltivato un pregiudizio negativo, non siamo nella Chicago di Al Capone. Ma alla Procura di Milano gli orologi sono fermi alla gloria di Mani Pulite.

Chi sarà, sedici anni dopo, la controfigura di Scalfaro, il puntello istituzionale per far scattare la trappola? Al Quirinale non c’è, ma il presidente della Camera, il 14 dicembre scorso, alla vigilia della sua sconfitta, diceva ai suoi: «Berlusconi sarà affondato dallo scandalo Ruby a Milano». Mentre Bruti Liberati rassicurava: «Nei comportamenti del questore non c’è reato». Una beffa. Promettono cronaca fresca e mettono in tavola surgelati da sedici anni.

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