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Il commento Serve subito una cura stile Marchionne

Il vergognoso comportamento di quella minoranza dei lavoratori dei teatri lirici di Milano e Palermo che, con il loro sciopero, è riuscita a bloccare la rappresentazione delle opere in programma - e nel caso siciliano si tratta addirittura dell’inaugurazione della stagione - ci dice che il «metodo Marchionne» deve al più presto trovare applicazione ben oltre Torino e Pomigliano. È urgente che ovunque nel Paese la serietà prenda il posto della sciatteria e che i contratti tornino a funzionare come impegni per tutte le parti coinvolte: aziende e lavoratori.
Non è più ammissibile che poche decine di militanti ideologizzati possano bloccare iniziative che sono costate somme considerevoli, compromettendo l’immagine dei teatri e mettendone a rischio il futuro. Bisogna cambiare registro, proprio per rispetto di quanti si stanno provando a rimettere in piedi la lirica, come ad esempio avviene proprio a Palermo grazie anche all’ottimo lavoro del sovrintendente Antonio Cognata.
L’Italia stia conoscendo una fase difficile, legata alla limitata competitività delle nostre produzioni. Per fortuna da più parti sta crescendo la consapevolezza che bisogna lavorare di più e meglio, e che per far questo si deve avere maggiore flessibilità, ponendo fine a quella società duale in cui alcuni lavoratori sono inamovibili e iper-garantiti, mentre altri sono costantemente precari e malpagati. Il sostegno dei lavoratori torinesi al contratto proposto da Marchionne nasce dalla consapevolezza che i posti di Mirafiori si salvano solo se la produzione di autovetture torna a realizzare utili.
Questo rigore è però assai meno presente nel parastato, dove per troppo tempo i soldi sono arrivati dal cielo come la manna biblica e dove mancano quelle verifiche che, nel privato, sono dettate dall’equilibrio tra le entrate e le uscite.
La lirica nostrana vive di denaro pubblico. In altre parole, abbiamo fondazioni che stanno in piedi perché - in tutto il Paese - vi sono artigiani, commercianti, operai e altri lavoratori che, pur senza amare Verdi o Puccini, sono costretti a destinare una parte del loro reddito alla Scala o al Teatro Massimo. Anche in considerazione di ciò è scandaloso che si permetta di bloccare le rappresentazioni, sapendo che bastano poche unità per impedire un allestimento importante.
È quindi urgente che si cambino i contratti e che i futuri impegni prevedano pesanti penali (fino al licenziamento) per chi adotta tali strategie. Se non si girerà pagina e non si inizierà a portare rispetto per il lavoro degli altri, non ci potrà essere un futuro per nessuno.


Nei giorni scorsi una lettera pubblicata da un quotidiano nazionale esprimeva soddisfazione per il voto di Mirafiori, ma al tempo stesso metteva in discussione che le principali difficoltà delle nostre aziende fossero all’interno dei cancelli: i maggiori problemi da affrontare sono le tasse troppo alte, gli sprechi eccessivi, il parassitismo diffuso. È vero: ed è proprio per questo che la «cura Marchionne» è ancor più necessaria alla Scala che a Mirafiori.

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