Domani, 25 aprile, i quotidiani non saranno in edicola. Non lo saranno per il fatto che oggi, domenica di Pasqua, rimarranno chiuse sia le redazioni sia le tipografie. Lassenza della carta stampata dipenderà dunque da un banale meccanismo burocratico, privo dogni altro significato. Eppure a quel meccanismo io sono tentato dattribuire una connotazione provvidenziale. Nel giorno della Liberazione saremo liberati anche dai molti pensosi e fervorosi commenti che di solito laccompagnavano. Deo gratias.
Obietterete che la pausa non colpirà la televisione, strumento dinformazione e dindottrinamento ben più potente dei fogli cui noi giornalisti allantica collaboriamo. Sì, la televisione riverserà sugli italiani la prevedibile, massiccia dose di cerimonie, di cortei, di discorsi ufficiali improntati al ricordo solenne, di appelli resistenziali intrisi dantifascismo puro e duro. Ma si tratterà dimmagini fuggevoli e di parole, tante parole. Lo scritto - concedeteci questo orgoglio minoritario - è altra cosa. Rimane, può essere non solo letto ma riletto, richiede argomentazioni non sommarie. Apprezzo in generale queste caratteristiche della parola scritta nei confronti della parola detta. Ma nel caso specifico del 25 aprile, lo ripeto, lintervallo casuale di domani va iscritto secondo me tra gli eventi fausti di questa stagione concitata.
Tanto per cominciare ci sarà risparmiata - salvo anticipazioni furbette - lalluvione dinchiostro celebrativo in cui tante penne vengono intinte quando si tratta di rammentare, pensateci un po, lepilogo duna guerra perduta. Perché lItalia lha senza dubbio perduta la seconda guerra mondiale, e i camuffamenti nei quali siamo da secoli specialisti non possono alterare questa verità. I veri vincitori brindano più tardi, il loro riferimento temporale è a quando la Germania nazista depose definitivamente le armi. LItalia precede quei pigri, e inneggia non tanto agli angloamericani che avevano messo in rotta-tardi e male per essere sinceri - le stremate forze tedesche, quanto ai partigiani. I quali rivendicarono il merito dessere stati loro gli autentici liberatori, irrompendo in città e borgate quando il fascismo in effetti era defunto, lesercito hitleriano non esisteva più, e nel bunker di Berlino stava per scoccare lora del suicidio collettivo. Sì, limmane strage che aveva insanguinato lEuropa era ufficialmente finita (lasciando tuttavia strascichi angosciosi sia in Italia, con le mattanze di fascisti e pseudofascisti, con le foibe, con le mutilazioni territoriali: sia in Germania, con la sorte atroce delle popolazioni cacciate dalle loro terre e inseguite da avanguardie spietate dellArmata Rossa). Si ricominciava, dal fondo. Era legittimo un respiro di sollievo per la pace recuperata. Erano a mio avviso eccessivi - ed eccessivi rimangono - i gridi di trionfo lanciati da troppi che non molti mesi prima indossavano la camicia nera (e dai loro figli e nipoti).
Sono queste notazioni perplesse. Non offensive, anzi rispettose e ammirative verso chi sè battuto con coraggio, e ancor più verso chi ha sacrificato la vita. Ma notazioni immuni dalla retorica che invece in innumerevoli testi imperversa. E che pretende di nobilitare perfino autentiche infamie e oscenità, come lesposizione dei corpi di Mussolini, di Claretta Petacci e dei gerarchi in piazzale Loreto.
Un altro motivo mi fa accettare di buon grado, e direi con riconoscenza, il silenzio stampa. Da molti anni a questa parte la Liberazione viene associata, in maniera implicita o esplicita, a battaglie antigovernative. Lo fece il Pci, appropriandosi del 25 aprile, quando al potere erano i democristiani. Lo hanno fatto i successori del Pci, malconci per le sberle della storia ma ancora decisi a rivendicare il monopolio ideologico e piazzaiolo della data fatidica. La rivendicazione è diventata arrogante dopo che Berlusconi-un bambino al tempo della Liberazione - ha fatto irruzione nella politica italiana.
Mi considero immune da ogni tipo di nostalgia fascista (sia del fascismo «normale» sia del fascismo di Salò). Alcuni lettori mhanno rimproverato, al riguardo, uneccessiva virulenza antimussoliniana. Se è una colpa, non esito a farmene carico.
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