Il commento Sull’aborto ogni mediazione è ipocrita

Dice il Vangelo di Matteo: «Il vostro parlare sia sì-sì, no-no, ogni parola in più è opera del demonio». Effettivamente ci sono parole che uniscono e parole che dividono. La verità, qualche volta, può dividere e la mediazione, soprattutto se a ribasso, non è sempre un buon modo per avvicinarsi alla Verità. Ed è per questo che la piega che un certo dibattito, anche all'interno della Chiesa, sta assumendo, merita una riflessione ispirata al metodo oltre che ai contenuti.
Parrebbe infatti che, nel dopo-Ruini alla Cei, una certa diplomatica domanda di centralità equidistante e neutrale rispetto al mondo dei valori civili e della politica, possa assumere questa strana configurazione: i vescovi cosiddetti conservatori anteporrebbero sempre e in modo dominante il valore delle questioni attinenti alla cosiddetta bioetica (o Foucault direbbe alla bio-politica). Vale a dire l’aborto, l’eutanasia, la tutela della famiglia naturale e della coppia maschile e femminile, in generale temi educativi riguardanti la centralità della persona. I vescovi più «progressisti», diciamo così, e a sinistra, sosterrebbero che devono essere indiscutibilmente messe sullo stesso piano, o anche prima, le questioni attinenti all’uguaglianza sociale, alla giustizia, all’apertura a emigranti, al lavoro e al sostegno degli ultimi. Ma c’è tra queste due categorie di argomentazioni una differenza essenziale. Queste seconde appartengono infatti a una specie che Popper, grande maestro della logica, definirebbe le cosiddette «verità non falsificabili». Cioè quelle per le quali è difficile, o quasi impossibile, trovare qualcuno che possa sostenere completamente il contrario. Chi, di destra o di sinistra, potrà sostenere che non è giusto o opportuno diffondere le buone occasioni e il lavoro a tutti? Chi, di destra o di sinistra, potrà sostenere che non è un bene cercare di aiutare, nel nome della giustizia e della fratellanza, i poveri e coloro che stanno peggio? E chi può esprimersi dichiaratamente con crudele e cinico egoismo contro ogni forma di accoglienza del diverso? Al massimo saranno diverse le declinazioni per ciò che attiene i tempi, i metodi e le forme di legalità. Ma è molto difficile trovare su questa questione un punto di discrimine netto e chiarissimo. Netto come quel «sì-sì, no-no». Mentre nel campo dell’aborto, dell’eutanasia, o della tutela della famiglia naturale, della bioetica e della libertà educativa della Chiesa, la risposta non può che essere chiara come il bianco e il nero. Proprio perché, come dicevo, così come ci sono parole che uniscono, ci sono parole che inevitabilmente dividono e che debbono dividere, come l’aborto, vero Olocausto del presente.
Non si può essere un po’ anti-abortisti, come una donna non può essere un po' incinta. Questo è il punto nodale della questione. È assolutamente sbagliato che si possa pensare di neutralizzare l’elemento di verità che scaturisce dalle cosiddette «verità non negoziabili», con una diluizione, che appartiene tra l’altro a una logica molto diffusa nel nostro Paese, quella che tende ad annullare ogni vero discernimento con l’affermazione che la verità, o comunque la questione, è più complessa e complicata. Quindi alla fine non si può decidere né scegliere nulla di chiaro. Per i cattivi maestri il problema è sempre molto più complesso... mentre invece in questo caso scegliere è importante, eccome.


Come non ricordare il tripudio di bandiere arcobaleno per la pace in piazza San Pietro, quando Giovanni Paolo II si pronunciò contro la guerra Nato in Irak? Un po’ meno applausi, o nessuno, invece durante le sue fermissime allocuzioni su inizio e fine vita, aborto, matrimonio, famiglia, identità cristiana, comunismo, Maria e il ruolo della donna nella società e nella Chiesa, sacramenti e vita eterna. Il doppiopesismo è la cifra di tutti i totalitarismi ideologici, anche se mascherati. Prima fra tutti la dittatura del pensiero unico del politicamente corretto, radical-chic e no.

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