Il commento La trappola di Netanyahu: mostrare che i palestinesi non vogliono i due Stati

Il discorso tenuto avant'ieri dal segretario di Stato americano Hillary Clinton al Centro di Studi internazionali e strategici di Washington è piaciuto a Gerusalemme. La dichiarazione della Clinton che la corsa dell'Iran all'arma nucleare «è inaccettabile» e l’invito ai Paesi arabi ad assumere «adesso» iniziative per giungere alla normalizzazione dei rapporti con Israele hanno creato soddisfazione anche se non sono bastate a cancellare i sospetti.
Per il governo di Gerusalemme la politica di «conversazione col nemico» del presidente Obama resta preoccupante tanto più che si teme che gli ostacoli incontrati da questa politica con la Russia e con l'Iran non vengano compensati da un avvicinamento coi Paesi arabi a scapito di Israele.
Nella cerchia del premier Netanyahu si comincia a credere che l'apparente realismo della Clinton verso gli arabi e in particolare dei palestinesi sia anche l'effetto del piano di pace in cinque punti varato dal governo e immediatamente respinto dai palestinesi che lo considerano «una trappola».
La novità di questo piano consiste nel fatto che per la prima volta dal 1967 un governo israeliano non menziona né Gerusalemme né confini «indispensabili» come parte del negoziato coi palestinesi. Questi due punti cruciali diventano teoricamente negoziabili. Lo scopo del piano di pace israeliano è di dimostrare agli americani che i palestinesi non vogliono il rientro di Israele alle frontiere del ’67 e probabilmente neppure due Stati in Palestina. Mirano a ottenere la continuata pressione americana ed europea per mettere Israele con le spalle al muro in vista della sua «liquidazione».
In un’intervista al giornale Al Dustour, Saeb Erekat, principale negoziatore dell'Autorità palestinese con Israele, ha sostenuto non esserci alcuna fretta di arrivare a un accordo: «Perché affrettarci, non ci sarà un accordo stabile se non fondato sul diritto internazionale e la giustizia». Il termine giustizia per la Carta costituzionale dell'Olp come di Hamas ha sempre significato la scomparsa dello Stato sionista.
La politica di Netanyahu in questi frangenti mira a respingere le pressioni americane, scoprendo il gioco palestinese guadagnando tempo. È convinto che quattro dei cinque punti della sua proposta di pace non possono essere rifiutati da Washington perché fanno parte di principi proclamati da tutte le amministrazioni (riconoscimento dello Stato ebraico; demilitarizzazione di quello palestinese; non ritorno dei rifugiati sul territorio israeliano ma su quello palestinese; garanzie internazionali).

L'ultimo punto: impegno palestinese a dichiarare che una volta raggiunto l'accordo non ci saranno da parte loro altre pretese. Cosa impossibile per Hamas e Al Fatah di accettare. Per cui Netanyahu, convinto che il tempo lavori per lui molto più che per i palestinesi, ha lanciato un piano che diventa difficile da rifiutare.

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