Il commento Troppe «coincidenze» per risultare credibili

Il problema sollevato dal giudice Mesiano, autore dell’ormai celebre sentenza con la quale Fininvest viene condannata a corrispondere alla Cir di De Benedetti oltre 750 milioni di euro, non è l’essere, ma - direbbe Pirandello - l’apparire: ma non per questo è meno grave.
Se infatti non ci sono elementi che possano indurre a mettere in discussione la sua imparzialità personale, potendo invece parlare a ragion veduta di errori nella concatenazione dei ragionamenti che sostengono quella decisione dal punto di vista logico-giuridico, si sono invece verificate circostanze che, considerate dal punto di vista formale, appaiono purtroppo in grado di alimentare ulteriori polemiche.
In particolare, alludo a tre aspetti fra loro complementari. Il primo. Il Giornale ha accertato che nel 2006, vale a dire quando già egli era titolare della causa in esame, Mesiano spiegava pubblicamente ai commensali di un noto ristorante milanese come e perché Berlusconi si dovesse dimettere.
Una normale diatriba di carattere politico, certo, ma pubblicamente condotta da chi avrebbe poi deciso una delicatissima questione relativa proprio al destinatario delle sue censure: Berlusconi. Perciò, se c’era una persona al mondo che avrebbe fatto meglio, per semplici ragioni di opportunità, ad evitare di manifestare pubblicamente tali critiche su Berlusconi, proprio in quel tempo di poco antecedente all'emanazione della sentenza (di cui oggi parla anche la stampa internazionale), ebbene questa persona era Mesiano.
Il secondo aspetto. Come è noto, Mesiano è stato pochi giorni or sono trasferito in Corte d’appello dal Consiglio superiore della magistratura. Anche qui, nessuno scandalo per chi sa come vanno avanti queste pratiche: la domanda dell’interessato proposta magari un anno fa; il parere favorevole del consiglio giudiziario, forse sei mesi fa; il nulla osta della commissione presso il Consiglio superiore due o tre mesi fa; ed oggi la deliberazione finale. Ma il diavolo, come si dice, vi ha messo la coda e perciò nessuno potrà togliere dalla testa dei sospettosi che questa attribuzione di funzioni superiori sia correlata in qualche oscuro ed inconfessabile modo alla sentenza di cui Mesiano è stato autore appena due settimane or sono.
Forse se il Consiglio, per ovvie ragioni di opportunità, avesse fatto trascorrere qualche altro mesetto, avrebbe fatto solo del bene alla credibilità delle istituzioni, senza danneggiare peraltro Mesiano, il quale dopo anni trascorsi in tribunale ben avrebbe potuto attendere alcune settimane, giusto per svelenire il clima.
Il terzo aspetto. Il diavolo ci prende gusto e così fa destinare Mesiano alla stessa sezione della Corte d’appello che sarà chiamata a deliberare sull’istanza di sospensione della esecutività della sentenza. Ma su tante sezioni della Corte d’appello che ci sono a Milano, proprio a quella Mesiano doveva andare a finire?
Forse sarebbe stato preferibile, per ovvie ragioni di opportunità, che i giudici di quella sezione decidessero su quella delicata questione, senza il collega Mesiano seduto nella stanza accanto, quale autore proprio di quella sentenza che essi sono richiesti di sospendere.
Ebbene, in casi simili, sia i singoli (i magistrati), sia le istituzioni (il Csm) dovrebbero usare una necessaria cautela rivolta ad evitare conseguenze che danneggino in modo pernicioso la credibilità e la legittimazione degli organi che le esprimono: magari tacendo, magari attendendo.

Purtroppo, invece, non si comprende come l’apparire imparziali valga tanto quanto esserlo davvero e che a nulla varrebbe per un magistrato difendere la propria imparzialità, senza darne piena prova all’esterno verso l’opinione pubblica che potrà sapere solo ciò che le venga formalmente mostrato e mai altro - di vero - saprà.
Ecco perché, fra l’altro, non farebbe male rileggere e meditare Pirandello.

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