«Buscar el Levante por el Poniente»: non è male riandare all’antico motto di Cristoforo Colombo, quello utilizzato per cercare la via dell’Indie e che portò invece alla scoperta dell’America, per capire chi oggi, in Italia, si muove veramente verso un’economia magari «sociale» ma aperta di mercato e chi preferisce invece difendere una realtà ancora largamente infeudata.
Se per dirigersi a Ponente si puntasse sempre e solo a Ponente avrebbero perfettamente ragione Corrado Passera e Alessandro Profumo a rifiutare i Tremonti bond per «ricorrere» al «mercato» per capitalizzarsi, sarebbero assolutamente corretti Francesco Giavazzi e Carlo De Benedetti che propongono l’uno di tassare le rendite finanziarie e l’altro il patrimonio per detassare la produzione. Mentre sarebbe da mettere tra i reprobi Sergio Marchionne che chiede incentivi ecologici per sostenere la Fiat e Silvio Berlusconi che è pronto a concederglieli.
Però la realtà è spesso più complicata di quello che appare immediatamente e non di rado per «buscar el Levante», per cercare di andare a Oriente, bisogna puntare a Ponente. Così, per far prevalere un’economia di mercato e non bancocentrica, si deve scrostare innanzi tutto un potere cristallizzato e opaco negli istituti di credito tra fondazioni dalle logiche troppo politiche, management magari con grandi capacità organizzative ma con scarsa attitudine da banchieri (cioè assai poco portati a finanziare la produzione) e invece assai più dediti agli intrecci politico-editoriali. E soprattutto a produrre finanza via finanza invece che in connessione con l’economia reale.
I Tremonti bond sono, in questo senso, la via più limpida per capitalizzarsi ricostruendo anche quelle regole che come ha ricordato pure Guido Rossi sono la premessa essenziale per un vero mercato. L’idea poi di tassare per detassare può venire in mente solo a ragionatori particolarmente astratti o a mestatori straordinariamente concreti che - come ha già spiegato Nicola Porro - non sanno analizzare la realtà dei rapporti tra redditi e risparmi in Italia. Quanto alla Fiat è evidente l’orientamento al mercato di Marchionne, capace in pochi mesi di delineare il profilo di una società multinazionale, che supera gli antichi equilibrismi italiani (le operazione tipo Exor-Fideuram, dove si è finanziati da società di cui si è soci e che ti vendono il prodotto da acquisire), in cui invece che a produrre auto si pensa essenzialmente a costituire fondazioni per intrufolarsi nella politica.
Gli incentivi all’industria non sono in sé un grande strumento di politica economica, alla lunga finiscono per sterilizzarsi. Non mi piacciono come non apprezzo qualsiasi eccesso di vincoli alla società, i canoni, le troppe tasse. Strumenti che possono apparire bellissimi solo a Tommaso Padoa-Schioppa. Ma sono finanziamenti generalizzati (non riguardano né solo la Fiat né solo l’auto), fatti in una logica che si cerca di riprodurre in altri contesti (vedi il Sud) mentre si lavora anche con altri mezzi (vedi lo scudo fiscale) per dare respiro alle piccole e medie imprese del Nordest.
In più, sono investimenti connessi direttamente alla produzione e al consumo non finanziamenti a un «potere industriale».
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